“Il pricipale compito della cultura, la sua vera ragion d’essere, è difenderci contro la natura.”
Sigmund Freud
Brevi appunti sulla Wilderness, sul Lawn – il prato – e l’immaginario contemporaneo Americano.
Ci sono alcuni temi che tengono legati insieme i racconti. Ci sono alcuni luoghi che emergono nelle storie e che fanno parte di una mitologia arcaica che per noi Europei è lontana ma che ormai, sottotraccia, ci viene passata da tempo.
David Lynch, ad esempio, costruisce delle “installazioni – cinematografiche – d’arte contemporanea” per raccontarci la dimensione perturbante della vita quotidiana americana (Blue Velvet, Mulholland Drive, Inland Empire, Twin Peaks ecc…). Lavora su alcuni elementi semplici e chiarissimi, il prato, il giardino, la casa, la strada dietro l’angolo; ma lavora anche sull’anima stessa del cinema Hollywoodiano – la sceneggiatura – e i ruoli dei personaggi per costruire una installation art che fa scontrare l’americano con le sue fobie, manie, ipocrisie (per noi resta una visione dall’esterno e quindi risulta spesso più difficile leggere le regole di questo perturbamento): il suo cinema è prima di tutto uno “stato alterato” della realtà quotidiana che trova la sua origine nella visione della realtà stessa.
Da qualche anno, al CPO di Pesaro, tengo il corso di Storia del Design Contemporaeo. Da subito ho cercato di lavorare intorno ai concetti che rimbalzano nella testa di chi come me non si limita a cercare spiegazioni ma deve anche trovare soluzioni e offrire servizi e prodotti, fare progetti. Uno degli aspetti che da ormai cinque anni mi trovo a trattare è il ruolo che la natura occupa all’interno del design contemporaneo (estendendo l’idea del design alle forme artistiche, alla land-art all’immaginario più in generale). In questo post mi occupo dell’idea di natura all’interno dell’immaginario americano. Me ne occuperò poi successivamente in altri contesti e con altri significati.
Dalla seconda guerra mondiale in poi siamo stati bombardati dall’immaginario americano. Una delle parole che, sottotraccia, attraversa molta produzione cinematografica è la Wilderness.
Da quando i primi Europei sono fuggiti per trovare una nuova fortuna altrove, la fuga verso occidente non si è arrestata nello scavalco del grande passo atlantico. La vera sfida era la conquista dell’ovest, attraverso lo spostamento di una frontiera che a differenza dei confini Europei non divide culture, ma diventa, da subito, la base per una cultura arcaica americana. La frontiera americana è una soglia che va superata, il traguardo in movimento di un viaggio che si muove dal noto verso l’ignoto. La natura, nel senso di Wilderness, è un qualcosa di primordiale che va cambiato, addomesticato (gli indiani saranno i primi a pagarne pesantemente le conseguenze). La frontiera è uno spazio aperto che si sposta con il prolungamento delle strade che si spingono verso ovest, ripercorrendo i sentieri indiani. E’ un viaggio mitologico arcaico tutto americano raccontato splendidamente da Cormac Mc Curty in tutti i suoi lavori. Aprire una strada fa parte di una mitologia fondante. I sentieri indiani diventano presto asfaltati e ferrati. E quando lungo questo viaggio “mi fermo” allora lì “costruisco” un mondo a me noto. Ed è lì che l’addomesticamento della natura si esprime nell’america del nord come il motore di una modernità tutta particolare e fondante di una mitologia sua propria: la strada diventa il luogo della mitologia dell’automobile, mentre il fermarsi e costruire casa sopra un prato diventa il luogo di un’altra mitologia: quela del tosaerba.
L’americano archetipico nasce da un passato che è dislocato, negato: l’europa (culla delle culture) è rifiutata in quanto abbandonata e luogo dal quale si è dovuti fuggire, si è stati rifiutati. Questo porta a due modi di vivere il territorio del tutto particolari e con essa la Wilderness. L’essere on the road è un modo archetipico di essere americano che affronta la wilderness, la vive e la domina. Altro modo è il fondare la dimora nella forma della casa nella prateria o nella forma dello sprawl urbano. Qui la natura, controllata dal tagliaerba, è la dimensione maschile di un contraltare femminile (l’armonia domestica governata dalla donna). Non sarà un caso se anche per Gabby (Eva Longoria) in Desperate Housewife la figura del giardiniere è per lei l’occasione per una esperienza “In the Wild”.
Questa organizzazione spaziale tra interno ed esterno, tra prato tosato e wilderness, sostiene anche un discorso sui generi nella società americana. Sofia Coppola, come David Lynch, costruisce delle vere e proprie installazioni di Arte Contemporanea – ancora una volta delle installationa art. Nel primo capitolo della trilogia sulle adoloscenti, The Virgin Suicide (1999), le adolescenti non riescono a rientrare in quel modello moralista americano descritto. I maschietti seduti sul prato tosato guardano la vita all’interno della casa delle cinque vergini suicide, ma loro si erano arrogate decisioni che spettavano a Dio. Erano diventate troppo potenti per vivere fra nlorio, troppo preoccupate di se stesse, troppo visionarie, troppe cieche per accettare quello schema così semplice e arcaico.
Wallpaper Virgin Suicide (1999), regia di Sofia Coppola
Questo racconta ancora un’altra qualità della superficie erbosa, la surface of everiday life è trasparente, non esclude lo sguardo. Così tutto il film si sviluppa attraverso questo doppio sguardo tra un esterno maschile, che non arriva a capire, e un interno femminile.
Bibliografia:
Il prato Americano, Lotus 101, Electa
The American Lawn, a cura di Georges Teyssot, Princeton University
Inoltre i romanzi di Cormarc Mc Curthy