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Un tempo dal cielo si attendeva la manna…
(Foto: Robert CAPA, Osservando una battaglia aerea sopra il cielo di Barcellona, Gennaio 1939).

Il Novecento: ha lasciato aperte molte ferite. Ferite vive tra le coscienze, tra i popoli e fisicamente nelle città offese dalla guerra: la terra è rimasta vittima di uno scontro e di una tragedia caduta dal cielo. E’ il secolo nel quale il concetto di guerra moderna, teorizzata da Clausewitz, in seguito allo studio della rivoluzione francese e delle campagne napoleoniche, viene sostituita da una nuova guerra che ha cambiato la prospettiva del fronte: il nemico non lo si guarda più in faccia ma lo si aspetta con gli occhi sprofondati nel cielo .
Sul tema del nemico lo storico Giovanni Luna ha scritto un bellissimo saggio per Einaudi: Il corpo del nemico ucciso. Studia i caduti sul campo, e il loro significato anti-monumentale. Dà ampio spazio alla cancellazione del confine tra il pubblico e il privato nella guerra, in quanto oltre ai corpi dei nemici sono le città a pagare le “colpe” più pesanti e la vita civile e dei civili. L’ Urbicidio è il modello di un procedere. Ogni guerra ha le proprie città martiri.

Due esempi:
Giugno 1993.
Pubblicazione dell’ultimo bollettino dell’Ordine degli architetti Bosniaci uscito a Sarajevo: Warchitecture il titolo. Precede una mostra – che riprendo come titolo di questo post – che ha girato l’Europa nel 1993: Urbicide. Mostra le foto ancora una volta in bianco e nero che testimoniano l’Urbicidio: le foto degli architetti morti e delle loro architetture, morte pure loro sotto i colpi delle bombe, nemiche prima di tutto della civiltà. Nell’ex Jugoslavia la memoria genetica e culturale è stata annullata: si sono violentati i corpi e le città, si sono mutilati monumenti e individui. Lo sgomento abissale per la sofferenza umana, in una guerra di cui i mass-media non ci hanno risparmiato l’orrore, hanno fatto passare in secondo piano la distruzione del patrimonio architettonico e documentario. Delle città storiche della Bosnìa-Erzegovina, dove si tramandavano stratificati i ricordi del passato ottomano, musulmano, cristiano e sefardico di Sarajevo, non rimase quasi più niente.
Agosto 2008.
Tskhinvali (Ossetzia) e Gori (Georgia): in mezzo solo 50 chilometri.
Prendo da Metapolis questa citazione che parla di altri Urbicidi e della conseguente fuga: ” Proprio “In fuga” si intitola un articolo di Maura Morandi su Osservatorio Caucaso (sezione Caucaso dell’Osservatorio sui Balcani). La Morandi ci racconta che “sono oltre 100.000 i profughi che si sono riversati nella capitale georgiana Tbilisi a seguito del conflitto” e che “la quasi totalità degli abitanti della stessa Gori ha abbandonato la città….Circa 45.000 persone avrebbero quindi lasciato la città natale di Stalin, che oggi appare quasi completamente disabitata. Altri 15.000 sfollati si sono spostati dai villaggi situati nella zona compresa tra Gori e i confini con la regione di Tskhinvali. Dall’Ossezia del Sud, inoltre, circa 30.000 osseti hanno trovato rifugio in Ossezia del Nord, nella Federazione Russa.”

Le città sono per definizione “luoghi sensibili”. Parafrasando Calvino: le città sempre più prendono forma dalle guerre che le circondano. Vengono rimodellate dai nuovi e gli antichi odi.
Gennaio 2009
Ora è il turno di Gaza, città che tristemente dà il nome ad un confine che se non fosse grottesco potrebbe sembrare la rete di un tavolo da ping pong dove le battute si giocano con missili e razzi nell’attesa dell’invasione di campo.
Se “non si può scegliere da che parte stare” almeno si decida di stare dalla parte delle città (della vita al suo interno) da entrambe le parti, consapevoli con quanto scrive James Hillman:” Non esiste una soluzione pratica alla guerra perchè la guerra non è un problema risolvibile con la mente pratica, la quale è più attrezzata per la sua conduzione che per la sua elusione o conclusione. (…) Possiamo comprenderla meglio, differirla più a lunga, lavorare per sottrarla via via al sostegno di una religione ipocrita. Ma la guerra in quanto tale rimarrà finchè gli dei stessi non se ne andranno”.
(da James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2004)

P.S. Alcune parti qui pubblicate le ho riprese da un mio saggio scritto con Maria Fratelli per gli atti del convegno “Le città ferite”, Milano, 15 Gennaio 2004, a cura di Cara Ronza e Massimo Scaglione “MIlano e la lombardia sotto le bombe”

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