Labirinto di Chartres
Il secolo scorso ci ha abituati a pensare il nostro “appoggiare i piedi sopra nostra madre (terra)” come l’appartenere a diverse pelliicole o sfere che rivestono il pianeta. Leggendo Bachelard “… i bergsoniani hanno parlato di una biosfera, e cioè di uno strato vivente dove sarebbero foreste, animali, uomini. Gli idealisti hanno parlato della Noosfera, e cioè della sfera del pensiero. E si e’ parlato della stratosfera e della ionosfera…” accennando alla radio, lo stesso Bachelard, riconosce che tutto il pianeta si è messo a parlare. “Qual’e’ il termine adatto per definire questa parola mondiale? E’ la logosfera. Parliamo tutti nella logosfera. Siamo cittadini della logosfera”. Per bachelard la radio è la realizzazione integrale e quotidiana della psiche umana. Non serve solo a comunicare e a portare notizie ma ha anche il compito di rappresentara la psiche umana.
Per questo motivo mi sono staccato, per qualche giorno, dal mio appartenere alle più contemporanee sfere digitali (Second Life, la blogosfera, facebook, gtalkk, twitter ecc), per capire cosa viene rappresentato di me o anche solo cosa di me si rappresenta senza l’uso delle varie sfere digitali. O ancora quanto di me è cambiato nell’uso del digitale. E che natura ha la “sfera del digitale”.
In altre parole a cercare il mio centro.
Metaforicamente, ho cominciato ad accarezzare le pareti di questo digitale mi sono chiesto se la sua architettura assomigliasse più ad una scatola o più ad una cipolla. Una scatola, come quella cranica, contiene il pensiero. Le pareti contengono senza identificarsi nel contenuto. Ne mantengono la sola impronta. Una cipolla è il pensiero stesso, che si contiene. Ogni pellicola di contatto è il pensiero che cresce, che muta la propria pelle. Come dice Didi Huberman parlando di Leonardo e dei suoi schizzi anatomici sul cranio “il contenitore in essa si identifica esattamente con il contenuto, secondo un paradosso “pellicolare” (…). Nella cipolla in effetti, la buccia è il nucleo: ormai più nessuna gerarchia è possibile tra centro e periferia. Un’inquietante solidarietà fondata sul contatto lega ciò che avvolge a ciò che è avvolto”.
Che sia sfera, scatola o cipolla (la cosa digitale) certo è che una volta aperta ci si assume il rischio di caderci dentro, di esserne felicemente, dall’interno, divorati. Non si esaurisce in una superficie ma in un lento cammino verso un centro.

il problema…il nocciolo del problema (…che permane sempre anche in un’era dove sicuramente centri e periferie si confondono sempre più…) è quanto “felicemente” corriamo quel rischio. Sappiamo bene che c’è una differenza tra bisogni “naturali” e bisogni indotti…
scatole o cipolle sono modelli che presuppongono qualcosa di finito… io trovo affascinanti alcuni modelli aperti che vengono nientepopodimeno che dall’astrofisica, come questi presentati dal premio nobel George Smoot http://www.ted.com/index.php/talks/george_smoot_on_the_design_of_the_universe.html
Teorizzano una rete di nodi che inizialmente si coagulano per fluttuazioni casuali e poi si consolidano e connettono per effetto delle forze dinamiche all’opera nel sistema
Modelli in qualche modo simili esistono nelle neuroscienze per spiegare cosa sono e come funzionano le tracce in memoria, che molti considerano equivalenti alla coscienza (laddove la fondamentale traccia in memoria è “io”)