L’incontro annunciato di lunedì 8 a Roma è stato interessante. Vedersi, curarsi da vicino, è sempre cosa insostituibile. Presenti io, nell’identità plurale di Asian Lednev e in persona, Azzurra Collas aka Lorenza Colicigno e il trino MacEwan Writer aka William Nessun aka “_ _ _ _”; abbiamo scambiato pensieri con il pubblico, non numeroso ma attento e pronto a intervenire. Scrivere un romanzo in rete, collettivamente, non è cosa semplice; specie per chi deve coordinare (ruolo di Azzurra). La cosa che più ha concentrato la mia attenzione è stata la domanda di Mau Messenger che traduco in questo modo: il significato di scrivere dentro ad SL ha un reale significato o è semplice pretesto? E una volta prodotta all’interno come esportarne i significati fuori? E’ il tema anche dell’arte di Second Life: come la si esporta al di fuori dell’ambiente-mondo?
In questa fase del romanzo siamo concentrati all’interno della rete. Almeno per quanto mi riguarda. L’immagine di apertura mostra la nuova torre istoriata, scritta. La dimensione del romanzo in Second Life è lì sotto gli occhi di tutti: la Skin, “scritta” con l’incipit del romanzo, per essere letta ha bisogno di essere “passeggiata”, “camminata”, sfiorata dal nostro volo di avatar.
Il romanzo verticale a tre dimensioni, ricorda ancora una volta che Second Life non solo è un ambiente immersivo ma è e produce qualcosa in più: incorpora le produzioni che avvengono al suo interno. Unico neo: è un ambiente proprietario e con questo prima o poi dovremo fare i conti.
Il romanzo ha un suo corpo e come ha detto una sera AtmaXenia, una scrittrice, “finalmente faccio parte anche io di qualcosa”. Detto con una certa retorica magari, ma ha centrato il tema della “scrittura” nel mondo.
A Roma, spazio di Più Libri e di Più Blog, immerso quindi nella carta stampata, questi ragionamenti mi hanno portato ad una questione, e cioè che la poesia visiva negli anni ’60, con Marcel Broodthaers, ha riportato in vita: nel 1897, Stéphane Mallarmé pubblica un poemetto, il Coup de dés (nelle mie mani: Stephane Mallarmè, Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, ed. Gallimard 1914); è un’ opera nella quale il poeta fa i conti con la pagina, con la carta e con la grafica, con il bianco inteso come silenzio intorno alla parola. Con la torre di Asian, stiamo facedo i conti con lo spazio tra le righe di un romanzo e lo stiamo abitando. Non è più solo spazio e silenzio ma spazio abitato. Una sfacccettatura in più della definizione di iconico (in quell’iconico ci siamo noi incorporati) e di collettivo. Il romanzo collettivo: un azzardo inevitabile.
Bellissima l’immagine che senbra la vecchia sigla di inizio del programmi Rai degli anni sessante… 🙂
Ora leggo-
E’ vero. Mica me ne ero accorto. Bello essere avvicinatoa Tito Varisco, l’artista della rai del tempo 🙂
ecco, quello che a me manca un po’ (anche mea culpa perchè sono stata un po’ assente dal lab) è coltivare un po’ questa dimensione collettiva – immagino che si rifletterebbe anche nella scrittura e negli intrecci delle nostre storie.
Un bell’incontro quello dell’8! Mi ha rivelato cose che non avevo capito o solo intuito. Mi ha emozionato, ad esempio, l’immagine dell’avatar che lentissssimamente e inesorabilmente (ma con qualche leggero colpo d’ala verso l’alto) scende dentro il corpo cilindrico del testo. Mi è venuto di pensare anche agli spettacoli di Bob Wilson in cui l’estrema lentezza dei gesti rivela il senso profondo delle cose. Questo viaggio, che vorrò provare, lo immagino in un silenzio spesso e “pieno”. Alla fine quella della torre è più di una metafora: è il testo con i suoi vuoti ed i suoi pieni. Certo ora questa magia avviene solo lì, quasi svanisce se la “raccontiamo”…..
Grazie, Fabio, per il racconto della nostra esperienza comune a Roma. Davvero un bel trio, Azzurra, Asian e MacEwan, soprattutto perché ha saputo dar voce a tutto il gruppo degli scrittori collettivi che si muovono tra le righe de “La torre di Asian”. Non ho mai avuto dubbi che il progetto potesse funzionare, ma ora ne sono ancora più convinta, infatti, raccontare il racconto de “La torre di Asian”, e, quindi, poterne comunicarne agli altri la lettera e lo spirito, proprio mentre ha richiesto un’ulteriore rivisitazione dell’emozione originaria e insieme un ulteriore impegno di razionalizzazione, ha definitivamente fissato in me l’idea borgesiana che “perché un libro esista, basta che sia possibile”. Certo non mi sfuggono le problematiche e le difficoltà che sono appena oltre il confine di quel “possibile”, ma è rassicurante pensare che esiste un gruppo di scrittori che si riconosce come collettivo e che vuol affrontarle insieme.
[…] interessante è il punto di vista di Asian Lednev sui punti-chiave della […]