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Conserving kublai, Neo Kublai – Installazione




Un mio pensiero: Second life non è in decadenza ma sta penetrando lentamente in una nuova dimensione più contemporanea alla ricerca della rappresentazione del “mondo”, dei mondi. SL e noi come avatar abbiamo raggiunto una “maturità” tale da farci percepire una distanza tra l’esperienza e un ricordo dello spazio. Si avverte fugacemente una distanza fra un senso passato e un senso attuale che alcuni potrebbero vivere come una percezione “incompleta”. Questo scarto è misurato nel tempo delle cose che suscitano in noi un sentimento dello stesso tempo. Lo stesso sentimento che si prova di fronte alle antiche vestigia, a luoghi che si sono vissuti nel passato alle cose che abbiamo appartenuto*.
Questa attitudine verso le cose e verso il tempo si rende evidente quando ci poniamo sulla soglia del rinnovamento, ad esempio.
Il re-design di una land è il momento per rinnovare e riaggiornare i “contenuti” ma è anche occasione per creare una installazione che indaga alcuni aspetti della natura del metaverso. Parlo del rinnovamento dell’isola-porto dei creativi: Kublai.
Le installazioni sono la tipologia artistica più rappresentativa della contemporaneità.
Le installazioni rappresentano con la loro temporaneità meglio di ogni altro medium l’essere e il tempo del momento. Ma non è solo un medium: è luogo di esperienze.
Neo-Kublai è un trapasso dalla rappresentazione autoreferenziale della creatività, della pittura e della scultura a una rappresentazione referenziale in situ: la creatività si localizza e diventa un intervento nel e con il mondo. Ciò che conta è la posizione e l’ubicazione e cioè l’esserci nel tempo giusto.
Una installazione sul “tempo delle cose digitali”, sul tema della conservazione del patrimonio digitale (qui si ricorda l’appello di Mario Gerosa sulla conservazione dei beni digitali all’Unesco e il testimone raccolto dal Museo del Metaverso e da Uqbar).

*Approfondimenti sul tema del “sentimento del tempo”: Marc Augé; Rovine e macerie; 2004, Bollati Boringhieri, Torino

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Answer: from one plane to another, one field to another, creating a surrealistic costruct of the universe, and all the caotic choices that you make in it.
Nigel Coates, Guide to Ecstacity.

Risposta: … da un mondo ad un altro, dalla ricerca di una nuova esperienza per il proprio corpo ad un’altra.
Nei nuovi modi di “vagare” nei nuovi spazi c’è una nuova dimensione tattile che non sempre viene colta.

Quel che è cambiato in questi anni è il sistema di riferimento della nostra possibilità di viaggiare.
Sicuramente sul nostro pianeta ma non solo. Ai viaggi reali, fisici, ai viaggi immaginari dentro la letteratura (dalla mitologia al Manuale dei luoghi fantastici di Guadaluppi Manguel) si sono aggiunti i viaggi nei mondi virtuali. Anche i viaggi nella dimensione dell’immaginario hanno assunto una tattilità che sottolineano come il corpo, reale e proiettato, sia il centro intorno al quale lavorare o quanto meno il necessario punto di partenza. Ne testimonia l’immensa letteratura degli anni ottanta-novanta sul tema del corpo-cyborg, che è tutta da rileggere: mostra la sua potenza proiettiva confermata per molte parti. Ciò che mancava al tempo era la possibilità realizzare “universi sintetici” di massa. Lo sbarco in massa sui mondi di questi ultimi anni è un atto finale/iniziale che ha richiesto/richiede una crescita per le nostre stesse facoltà (qui non si può non citare l’Umanità accresciuta di Giuseppe Granieri).
Abitare i mondi e abitare il proprio corpo/avatar sono un tutt’uno: richiede che si debba riconsiderare il significato scontato di alcune parole e di alcune abitudini. I mondi imnaginati, pensati, progettati e costruiti nella rete, gli universi sintetici, i mondi virtuali, hanno una natura tattile molto forte. Ma si tratta di una tattilità differente che non ha più il senso organico del toccare: “implica semplicemente la contiguità epidermica dell’occhio e dell’immagine, la fine della distanza estetica dello sguardo” (Baudrillard, Cette fois). Lo schermo del computer attraverso il quale entriamo nella virtualità dello spazio è la retina dell’occhio della mente e dunque una parte della struttura fisica del nostro cervello umano.
E in questo sta un’altra interpretazione di una nuova tattilità corporea con il mondo delle cose che ci circondano: da tempo abbiamo esteriorizzato parti del corpo umano all’interno dei “media” che utilizziamo. Ognuno di questi media ha gradi differenti di realtà, ha rapporti differenti con la realtà. Saltiamo continuamente tra dimensioni differenti di realtà e di virtualità.
Quella che si vive è una realtà equivalente costruita con stratificazioni in cui convivono e si compenetrano tra loro elementi del reale, dei desideri, dei sogni dell’imaginario e delle simulazioni. Viviamo immersi in tutto questo.
Ma è il nostro corpo che resta al centro e le sue estensioni/emanazioni/figurazioni.
Alla fine faccio esperienza nei mondi virtuali e il mondo virtuale esiste attraverso la mia esperienza incorporata.
Il mondo virtuale e il mio corpo si definiscono tra loro.
Io abito il mondo virtuali e il mondo virtuale abita con me.
Per questo la mia prima esperienza per me è stata di natura nomadica: ho viaggiato per lungo tampo perché dovevo costruire questa relazione tra mondo e l’avatar, per non vivere l’estensione come amputazione, come suggerirebbe McLuhan, ma come esperienza e quindi arricchimento.
Alla fine, se si semplifica tutto questo come un semplice “gioco”, questo stare nei mondi ha un significato preciso: “giocare” per vivere/conoscere/ragionare/pensare…

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Claude Monet. L’ombra di Monet nello stagno delle ninfee, ca. 1905 Fotografia Collezione Philippe Piguet


Parliamo di ombre.
Monet, nel 1905 si fotografa nel suo stagno delle nifee in forma di ombra. Lo fa in una forma autoriflessiva: è un vero autoritratto. Secondo Stoichita* se si fotografa come riflesso della superficie dell’acqua apparendovi come ombra lo fa per suggerire non tanto un atto d’amore verso se stesso ma verso il proprio mondo simbolico. Ciò che la sua ombra espone è l’ombra del suo sguardo che si istituisce come pittura, quello sguardo che si struttura come visione, come pittura.


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Autoritratto di avatar. L’ombra di AL nello stagno delle ninfee di LucaniaLab. Collezione privata.


Ogni immagine ha la sua storia e ogni immagine è testimone di una storia più grande che muove all’interno di una storia della rappresentazione estetica e una storia della filosofia della rappresentazione. Come dire che ogni immagine
è forma di un pensiero -l’artista- che l’ha prodotta all’interno di un pensiero -una cultura- più grande che lo contiene.
Un giro di parole per introdurre una cosa che non ha solo una valenza tecnica, un nuovo traguardo raggiunto, ma anche un significato simbolico molto forte all’interno di un pensiero che produce immagini -mondi- nell’ambiente di Second life.

L’arte ha da tempo rifatto i suoi conti con la propria storia riallacciando ponti demoliti dall’avanguardia.
Non si può non leggere l’introduzione delle ombre in SL non solo come un avvicinamento di effetto di realtà ma un avvicinamento ai temi della rappresentazione.
La storia dell’arte occidentale è una storia di chiaroscuri. Plinio (Naturalis Historia XXXV,15) per primo ne inaugura l’interpretazione nel tentativo di dare un’origine alla pittura: l’atto di circoscrivere con una linea l’ombra di un essere umano. A fianco di questo atto primigenio sull’origine della pittura ne esiste un altro che parla delle origine della conoscenza: il mito platonico della caverna. Entrambi muovono a partire da ombre.

Ma quello che mi interessa notare sulle ombre in SL è che propone un’autoriflessività dell’avatar nell’immagine: propone un suo autoritratto in forma di ombra.
Credo che simbolicamente sia un fatto veramente potente. E’ un segno doppio della nostra presenza in SL non più nella sola forma di presenza-avatar ma anche di evanescenza-ombra. Un doppio segno di appartenenza al mondo quindi.
Se l’avatar cela una dimensione narcisistica di noi che “ci affacciamo” nei mondi virtuali la presenza dell’ombra suggerisce una appartenenza al mondo creato non più nella sola dimensione di creatori ma come superficie stessa delle cose create, inglobando questa evanescenza nello stesso quadro dell’immagine. Assieme alle altre cose l’avatar vi si riflette, vi si riassume e vi si dissolve. In altre parole entra e si dissolve nel mondo che ha immaginato e creato: non è più una sola immersività ma una vera inclusione all’interno del mondo.

*Victor I. Stoichita, Breve storia dell’ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art. Il saggiatore, Milano 2000

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Romanzo Collettivo La Torre di Asian
Il secondo progetto che presenterò a Ars in Ara, sarà il Romanzo Collettivo.
Il progetto ha alcune caratteristiche che lo contraddistinguono:
– la dimensione Narrattiva è utilizzata per costruire un “mondo” che ha le sue regole scritte direttamente all’interno dell’ambiente nel quale si svolge la sua narrazione;
– lo spazio del racconto e il testo coincidono nello spazio di vita degli scrittori-personaggi del romanzo;
– la realtà e la finzione si coniuga nel racconto;
– natura narrativa dello spazio – spazio concepito come un testo e viceversa;
– non è una sceneggiatura chiusa scritta altrove: è l’esperienza dello spazio condiviso che si struttura in testo.

Di seguito Riporto il testo di Mario Gerosa – scritto per EXIBART del corrente mese di Giugno – nel quale mette molto chiaramente il senso del progetto.

A MONDO MIO
Prima di accantonare i mondi virtuali come un giocattolo che non ha più il sapore della novità, pronto ad essere rimpiazzato da un altro passatempo, sarebbe utile continuare ad esplorare la dimensione concettuale degli universi sintetici, che riserva ancora sorprese interessanti.
In questa direzione si sono mossi un gruppo di studiosi e di ricercatori, che in Second Life ha dato l’avvio al progetto della Torre di Asian, dove Asian è un avatar che fa di cognome Lednev e corrisponde, nella vita vera, all’architetto Fabio Fornasari. A lui, progettista e artista, si affianca Lorenza Colicigno (Azzurra Collas), scrittrice di mestiere e poetessa, che cura e raccoglie le varie parti del racconto.
Questo progetto è originale e intrigante perché indaga sulle potenzialità della scrittura all’interno degli universi sintetici. Finalmente, sin dall’inizio, si stabilisce che le regole del gioco da seguire in quell’altra realtà non sono le stesse della vita quotidiana al di qua dello schermo. Si è già detto e ampiamente ripetuto che le case e gli arredi di SL non devono essere per forza come quelle cui siamo abituati, e tutti sappiamo che la moda del mondo dei Linden non segue le stesse tendenze delle passerelle del mondo vero. E allora perché i processi della narrazione dovrebbero rimanere ineluttabilmente invariati?
Se lo sono chiesti gli studiosi del gruppo che ruota attorno al progetto della Torre di Asian, che hanno ipotizzato un nuovo modo di utilizzare la scrittura e di fruire della narrazione in un mondo virtuale.
I punti cardine del progetto sono due: creare un romanzo scritto a più mani (non necessariamente da addetti ai lavori), con il continuo alternarsi di narratori, e l’idea di trascrivere in tempo reale il racconto in progress sulla superficie di una torre che cresce al crescere dei dialoghi.
Innanzitutto la scrittura assume una presenza tridimensionale, con la storia scritta sulla skin della torre, che pare in questo senso una versione della Colonna Antonina 2.0, con i dialoghi che si innestano nello spazio, a diverse altezze, in diverse posizioni, suggerendo una possibile ma non necessaria scala di valori legata alle frasi. Poi c’è il discorso, fondamentale, dell’interazione fisica: le parole e le frasi della Torre di Asian scardinano il tempo canonico della lettura di una pagina e lo spazio necessario per leggere una pagina dalla prima all’ultima riga: qui le frasi si scorrono volando, piroettando intorno al monumento di parole, o magari volteggiando in caduta libera, gettandosi dalla cima. In tal modo si leggono gli spazi stessi, dato che è difficile dire quale sia il supporto e quale sia il contenuto.
La Torre di Asian infatti è un’architettura tutta da leggere, che gioca anche su un altro tipo di coinvolgimento: il racconto che si sviluppa attorno a quel manufatto effimero non può prescindere dalla presenza di quel totem. La scrittura del racconto deve molto alla vita vissuta attorno alla torre stessa. Le frasi del racconto sono in parte generate dalle suggestioni e dagli stimoli provocati attorno alla torre dai tanti personaggi che si sono avvicendati a quel romanzo, pensato un po’ come il gioco del “cadavre exquis” dei surrealisti, dove uno iniziava a scrivere o a disegnare e un altro proseguiva, senza mai mettere la parola fine. Senza mai tradire la metafora di progetto completamente open source di una narrazione protesa all’infinito. Un concetto che si coglie nella struttura del racconto a più mani e si riflette nell’altezza smisurata di questa architettura vertiginosa che certi giorni, quando in Second Life calano le tenebre, fa l’effetto di un pozzo senza fine al contrario.

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SI riparte, si è ripartiti.
Dal mio punto di vista la definizione “mettere in narrazione il territorio di Second Life” (titolo di Giovanni Boccia Artieri per Basilicata Travel) ha un significato a più dimensioni. Il testo siamo abituati a vederlo sempre più come una didascalia di un pensiero: bidimensionale. Il testo invece ha più dimensioni: ci si sprofonda dentro, si eleva. In sostanza non solo evoca ma costruisce spazi. Questo è quanto stiamo facendo direttamente con il Romanzo Collettivo la Torre di Asian ad esempio. Ma questo è alla base di tutto il mio lavoro in Second Life. Credo che in qualche modo, Second Life, cio che ha permesso è la definizione di una nuova calligrafia che ha delle caratteristiche molto particolari: ha una qualità tridimensionale e immersiva; si costruisce come testo, come relazioni tra elementi simbolici che individuano spazi tenuti insieme dal tempo; è inoltre capace di contenere e rendere partecipi della definizione dell’ambiente dall’interno chi vi abita e chi vi produce il proprio pensiero.
Il pensiero centrale è che non esiste uno spazio che non sia collettivo: è una condizione di sopravvivenza, è la coscienza specifica dello spazio.
Questo genere di mondi non sono un analogo di un paesaggio interiore e non sono mai riducibili a una dialettica io-mondo, soggettivo-oggettivo; comportano uno spostamento sul piano del linguaggio, della cultura intesa come sommatoria di comunità parlanti.
Il progetto del museo di Lucania Lab, il secondo livello museale, è in questi pensieri che trova la sua origine.

Second Life è per il momento l’unico strumento che mi permette di ragionare in questi termini e di sperimentare lo spazio come scrittura tridimensionale. E non solo come pura teoria ma come virtualità realizzata. Per questo lo sento ancora fresco. La relazione con gli altri Social Network rafforza questo pensiero di spazializzazione del testo.
Ma ne parlerò poi.
A Roma il 6 giugno, al convegno Ars in Ara, parlerò di queste cose e di altre (convegno ARS in ARA Second Life a cura di Marina Bellini e Paolo Valente).

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Nel pomeriggio di oggi, 2 maggio, al Materacamp interverrà Lorenza Colicigno aka Azzurra Collas per raccontare cosa sta accadendo con il Romanzo Collettivo che prende il nome da un lavoro che ha già compiuto un anno e che altre volte si è raccontato in questo Blog.
Quello di oggi è un nuovo traguardo.
E’ cresciuto, si è trasformato, è cambiato e sempre in una chiave creativa: ogni cambiamento del progetto della torre si accompagna con la stesura del romanzo. La chiusura di un’isola, la demolizione di una torre, il nuovo terraforming di Cyberlandia e la conseguente fondazione della versione Chrome sono elementi che influenzano la scirttura. Non si parla di arte di Second Life ma di esperienza di un mondo – più mondi – che si manifesta in forma di costruzione e di scrittura: un romanzo tridimensionale.


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Concept Book Romanzo Collettivo aperto e srotolato


Ancora meglio direi che è una “procedura”: un continuo rimando di atti di costruzione, di momenti di paragone con gli altri, di descrizione e di messa in ruolo del proprio agire in relazione agli altri e infine è sempre e comunque un progetto che sta su una soglia tra la rete e gli spazi esterni alla rete, che li sovrappone (per tacere della realtà aumentata).
Non ci saremo noi a fianco di Azzurra, la curatrice del romanzo, ma ci srà il concept book che contiene tutte le idee e gli attuali scrittori: Deneb, Margye, Susy, Asian, MacEwan, AtmaXenia, Aldous, Piega, Sunrise, Azzurra e tutti quelli che lo sostengono.

Credo che questo come tanti altri sia un modo per costruire prima di tutto un paesaggio connettivo, un progetto che si costruisce unendo intelligenze e “spalmandosi” su tutti i social-network, incorporandoli nella scrittura e usandoli per la diffusione; espressione di una nuova attitudine non gelosa. Non una idea rinchiusa in una sola scatoletta, ma un continuo andare e venire, fatto di verifiche, di proposte e contaminazioni


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Concept Book Romanzo Collettivo

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Tutto ciò che si può dire lo si può dire chiaramente. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.
(L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus)

Ho sempre pensato che il luogo più importante dove sperimentare progetti sia il linguaggio (sempre se si può dire in un caso del genere “ho pensato”, in quanto mi colloco nel dirlo in pensieri altrui). I progetti di cui parlo sono anche di natura spaziale e non di “chiarificazione” del linguaggio o poetici o narrativi. Il linguaggio ha regole che non servono solo a regolare/costruire frasi per garantire comprensione e correttezza al nostro modo di comunicare (chiarire appunto) ma anche influisce sul nostro modo di ragionare. In fin dei conti è questa la sua funzione.
La cosa che mi lascia sempre perplesso è questa: abbiamo un linguaggio sofisticato, articolato, molto elaborato e complesso che suggerisce che le nostre idee potrebbero essere altrettanto differenziate, “sottili” e “sensibili”. Invece tendiamo ad usare il nostro costruire pensieri, il “meccansimo” più affascinante che possediamo, per uniformare i nostri pensieri verso il basso.
Questa dimenticanza si accompagna ad almeno altre due dimenticanze fondamentali: le altre due cose sole che possediamo realmente (tutto il resto è finzione-costruzione) sono il nostro corpo e il nostro tempo.
Tornando al linguaggio penso alle preposizioni semplici come elementi capaci di suggerirci almeno nove modi di costruire relazioni tra le cose:la preposizione è una parte invariabile del discorso che serve a collegare parole o frasi stabilendo tra loro relazioni.

Parlando del metaverso (Second Life) e il mondo reale si pone ultimamente l’accento su una cosa che ormai è diventata anche banale: portare fuori l’esperienza, i contenuti la produzione artistica ecc.
Con la mostra Rinascimento Virtuale – pensata, voluta curata sin dall’origine da Mario Gerosa – con il progetto di all’allestimento, avevo posto l’attenzione sul confine – soglia – come luogo di incontro tra due diverse culture (e le loro cose): una storicizzata (quella derivante dalla ricerca etnologica) e una in divenire (quella digitale). Le prime cose sono i “feticci” presi dalle altre culture nel corso dell’ottocento; le cose esposte del secondo gruppo erano i “voli di immaginazione” dei “residenti” del mondo, oggetti, immagini che incorporavano pensieri ed esperienze dell’attraversamento del metaverso. Più di tutte le cose esposte sono state le moleskine ad assumere questo ruolo di soglia: un lavoro di confine tra due mondi, tra due appartenenze che diventano esperienza e memoria condivisa (come più volte detto)
Il problema è quello di dare un senso alle cose trasferite da una cultura ad un’altra. Qual’è il significato “vero” di un oggetto prelevato da un contesto culturale per essere “spostato” altrove?
Come suggerisce Wittgenstein, ci sono casi in cui si deve tacere: alcune cose non è possibile trasportare da una parte all’altra.
Le stesse domande le si possono porre al contario per chi entra nel metaverso nella chiave “come mi pongo” “nel mondo” in relazione agli altri e alla vita reale dalla quale provengo? Quali sono le cose che faccio mie? Cosa porto dentro di ciò che ho fuori?
E’ qui che entra in gioco la metafora della preposizione.
Le preposizioni nel discorso sono gli eleminti-spazio che collegano, che creano relazioni; sono confini significanti: nel porre la relazione tra le cose del discorso pongono una attenzione specifica sulle cose stesse.
Morale: la sostanza non è portare dentro o portare fuori – per altro due metafore ormai superate dal nostro stesso agire – ma come mettere in relazione il dentro e il fuori e come noi ci collochiamo noi in questa relazione. Come sempre è il progetto e il “perché” dello stesso.

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Lucania Lab: progetto di museo per la Lucania in Second Life.
Scatto per la copertina di Ottagono, mese di Marzo.


Questione di ore: sta per uscire Ottagono, rivista di architettura e design, numero 218 del mese di Marzo, nelle edicole italiane.
Copertina e quattordici pagine di interviste, immagini, pensieri e altro.
Un altro capitolo di un lavoro di continui passaggi dal mondo – verso il mondo; questa volta a promuoverla una delle più importanti rivista di design e architettura italiana.
L’articolo a firma di Valentina Croci è stato concepito come un tour in Second Life dove la giornalista incontra persone note nel mondo che svolgono attività all’interno della rete. Dopo l’intervista a Mario Gerosa, curatore della mostra Rinascimento Virtuale, incontra ed intervista Roberta Greenfield, Roxelo Babenko, Shiryu Musashi, Berardo Carboni; infine il sottoscritto nei panni di Asian Lednev, chiamato ad accompagnare la giornalista nel suo viaggio.
Buona visione a tutti, avatar e no.

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Prima immagine: intrecciare immagini di mondi


La seconda, un’immagine letteraria:


“…E fu di Donna/ Questo si mirabil fatto/ Giunsero in questi luoghi, ov’or vedrai/ sorger la gran cittade e l’alta rocca/ de la nuova Cartago, che dal fatto/ Birsa no mossi, per l’astuta merce/ che, per fondarla, fèr di tanto sito/ quanto cerchiar di bue potesse in tergo/ Ma voi chi siete? onde venite? e dove Drizzate il corso vostro?”
(Eneide: libro 1, 360-360)


Reminiscenza di “antichi” studi, la storia di DIdone arrivata in Africa. Astutamente, fece a strisce due pelli di bue e di quelle cinse ed ottonne la terra utile per costruire Cartagine e diventarne regina.


La terza immagine, l’occhio- mongolfiera di Odilon Redon (To Edgar Poe: The Eye Balloon (The Eye, Like a Strange Balloon, Mounts Towards Infinity – 1878). :


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Nella prima immagine d’apertura di questo post ho fatto fettuccine con due immagini, due “pelli d’immagine” prese una dal metaverso e una dal mondo reale, “per quello che vediamo”. Fatt ele ettuccine le ho intrecciate per ricomporre una nuova immagine. Davanti a quelle immagini c’e’ l’occhio, the “eye” o anche the “I”, e cioè sempre io. Ma cosa c’entrano gli occhi, le fettuccine e Cartagine insieme?


In qualche modo ogni nostra “realtà” in rete si riempie dei territori altrui, si alimenta delle altrui attenzioni e in qualche modo si relaziona costruendo un orizzonte intrecciato percepibile analiticamente, per parti. Poi è la nostra “testa” che penserà a costruire una immagine sintetica che racchiuda il “nostro territorio” in rete. Le pagine degli altri diventano “testimoni” della nostra attività.
Ieri alla richiesta di Paolo Valente di costruire un post per il blog di Marco Minghetti (Le Aziende Invisibili) è come se avessi ripercorso i miei due anni da avatar all’interno dei mondi possibili in rete. E facendo a fettine le esperienze e riconnettendole mi si è mostrata la complessità e la vastità come mai avevo fatto prima: complessità composta da ragionamenti fatti assieme a tante persone, progetti condivisi ecc… In questo caso nessuna astuzia ma puro piacere per la condivisione e per il ragionamento. Messe le cose in fila una all’altra ho rivisto un percorso più chiaramente e come il mio percorso attraversa percorsi degli altri costruendo un tessuto di ragionamenti reperibile qui e altrove. L’immagine iniziale è solo metafora visiva di questo occhio, di questo “eye – I” sempre in viaggio; puro punto di vista soggettivo all’interno di una visione collettiva non contemplativa ma di azione; e cioè non per ricercare un bello ma per definire un senso. Un occhio – Io che si estende a tutta la sua biologia connessa, a tutti gli altri organi e a tutta la mia corporeità che si porta dietro le sinestesie ecc. L’occhio ne è solo la riduzione a simbolo (si veda Waldemar Deonna – Il simbolismo dell’occhio – Bollati Boringhieri). Un intreccio che racconta una modalità site-specific, che si sviluppa nello specifico di volta in volta a seconda del tema producendo, costruendo.

Ancora poche ore e l’isola del romanzo non ci sarà più.
L’isolotto è il quarto atto della torre di Asian: primo per la Greenfield Room a Post Utopia, secondo per il Museo del Metaverso di Roxelo Babenco; il terzo atto nelle Land dello studiolo di Asian, in territorio anglosassone dove la torre ha scoperto unsuo ruolo nell’ambinete. Infine il quarto atto nell’isolotto del romanzo con le annesse rotative. Ha un suo omologo anche nella RL ed è stata vista fotografata nelle prove di Rinascimento Virtuale. La torre è un progetto che ancora vive nella scrittura del romanzo, tra l’ambiente reale e il metaverso.
In attesa del quinto atto… buona visione.