Sans soleil, 1983 un film di Chris Marker
Ogni giorno facciamo esperienza di termini quali distanza, lontananza, vicinanza. Misuriamo lo spazio con i tempi e consumiamo tempo coprendo spazi.
Mentre scrivo Star Treck (è tarda sera) mi apre a considerazioni siderali sulla distanza e sul tempo. Facciamo continuamente esperienza delle distanze mediante la produzione cinematografica, la latteratura e non ultimo i mondi metaforici. Ci hanno abituato a “sospenedere” la percezione di noi stessi dal luogo nel quale il nostro corpo si trova, proiettandoci continuamente (mentalmente) altrove.
All’inizio del suo film Sans Soleil (1983), Chris Marker apre con una citazione da Racine. Tradotta dice all’incirca così: la lontananza dei luoghi compensa, in qualche modo, la troppa prossimità dei tempi. E’ un film di montaggio e di viaggio, un”immersione in un mondo che ci spiazza: è un montaggio di riprese raccolte in regioni distanti tra loro. Pezzi d’Africa e di estremo oriente si fondono in un paesaggio mondo che è una raccolta di narrazioni, di storie diverse. Tutto è declinato in linguaggio per raccontare il mondo. Si è già parlato della non-fiction e della difficoltà, oggi, di raccontare storie al di fuori del mondo reale. E’ il montaggio, delle emozioni prima di tutto, la vera chiave poetica che raccoglie le distanze e le rende presenti nei diversi tempi. Il suo è uno dei pochi tipi di cinema che mentre lo guardiamo ci chiede di considerare che cosa guardiamo, e perché lo facciamo.