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MIO MAO, primo maggio 2001. Autoritratto. © Fabio Fornasari

Oggi a Milano, allo spazio Triennale Bovisa, inaugura una bellissima mostra di Anselm Kiefer sulla sua visione di Mao. Da vedere assolutamente.
Non potevo non parlare, data l’occasione, della mia visione di me in forma di autoritratto nei panni di Mao.
Sono passati ormai sette anni da quando ho fatto il primo MIO.
Farsi un autoritratto è un rito attraverso il quale siamo passati tutti.
Il Mio è un progetto di autoritratti in forma di piccoli libretti quadrati da tenere in tasca.
Ritrarsi nei panni di qualcun altro ha un senso che che è legato al volersi rappresentare. Normalmente un autoritratto è un cortocircuito della propria visione (io guardo me che mi guarda). In questo caso era un poco come compiere un rito sciamanico: chissà se qualcosa di lui entrerà in me. Un delirio di potenza dopotutto (o il suo desiderio espresso e rappresentato).
A differenza di uno specchio, un nostro ritratto – una fotografia – ci mostra per quello che siamo (quantomeno in apparenza). Lo specchio ci mostra di noi sempre una immagine simmetrica. L’autoritratto fotografico no. Presuntuosamente ci mostra per quello che siamo. Una pura illusione, ovviamente. La presunzione di verità della fotografia è sempre stata confutata dalla pratica stessa della fotografia: raramente ci riconosciamo nella fotografia che ci viene fatta.

Nel suo saggio Preliminari a una psicologia dell’autoritratto fotografico, Maurizio Giuffredi scrive: “la costatazione dolorosa che la rappresentazione fotografica non può mai rappresentarci, che non può esserci mai visione oggettiva ma ancora, sempre e soltanto, visione soggettiva, un po’ come nell’arte in generale, può portare a liberarsi definitivamente dal problema dell’oggettività per cercare, nell’autoritratto soprattutto, non tanto un’inutile fedeltà fisiognomica, ma significati profondi legati al vissuto e alla poetica di chi si fotografa. E dal momento che la fotografia è democratica, diversamente dall’arte, generalizza questa constatazione dolorosa e rende ognuno di noi in grado di condividerla.”*
*pag 129. (Maurizio Giuffredi, Preliminari a una psicologia dell’autoritratto fotografico, in: a cura di Stefano Ferrari, Autoritratto, psicologia e dintorni, Clueb, 2004)

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