texture-skin @ fabio fornasari
photoshot: skin tower, interno , C Lednev
verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia
verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia
verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia
verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia
verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia
Una nuova costruzione (verifiche di spazi 002) al Cantiere Lednev
L’architettura di oggi non offre certezze ma pone dubbi: il nucleo (il suo contenuto) è spesso distante dal suo involucro. Ciò accade ad esempio nei grandi edifici pubblici, nei grandi centri commerciali dove si tende a consumare tempo oltre che denaro. La distanza tra nucleo e involucro è tale da non permettere più alla facciata di comunicare cosa avviene al suo interno. Come ha scritto Rem Koolhaas (Junkspace):
uno dei fondamenti dell’onestà è abbandonata al suo destino: architettura degli interni e architettura degli esterni divengono progetti separati: una confrontandosi con l’instabilità delle esigenze programmatiche e iconografiche, l’altra – portatrice di disinformazione – offrendo alla città l’apparente stabilità di un oggetto.
Si potrebbe dire che la tecnologia ne sia responsabile prima della speculazione: l’ascensore, le scale mobili, gli impianti di condizionamento, i meccanismi in genere hanno svuotato il repertorio classico dell’architettura. Ma è propri la tecnologia che ha cambiato e liberato le ragole della progettazione. Questioni di composizione (la facciata), scala metrica (il mio corpo, la mia dimensione e l’architettura), di proporzioni, di dettaglio sono diventate ormai disquisizioni soltanto accademiche. Questo ha portato anche alla rottura con il contesto, in quanto esso non è più luogo di riferimento ma luogo-pretesto. L’architettura parrebbe non fare più parte di nessun tessuto.
In realtà si occupa di definire modelli, diversi modi di pensare a se stessa e allospazio al suo interno.
Il suo interno diventa richiuso in se stesso e trova la sua motivazione proprio in quella pariola: interno. ”.
L’integrazione del corpo dentro l’architettura (porlo a proprio agio nel caldo o nel fresco di un ambiente climatizzato, dandogli possibilità infinite di accessibilità dei luoghi in verticale e in orizzontale), tuttavia è stato anche il motore di innesco per produrre luoghi non integrati rispetto il contesto del paesaggio, luoghi “guscio” richiusi in se stessi (cocoon) o, secondo un’altra metafora, nidi (nest) aperti verso l’esterno da finestre più “digitali” che reali (i media di comunicazione in genere: carta stampata, pubblicità, televisione, internet ecc… tutti elementi che compongono il panorama dell’architettura contemporanea).
E’ veramente suggestivo lo spazio interno a quella sorta di tubo digerente…
Sono anche io (da tempo) un sostenitore pratico della poetica del digitale e della sua effimera permanenza come immagine nella retina, quindi trovare questo posticino potrebbe sembrare proprio una boccata d’aria… 🙂
@peja grazie. Si, l’estetca del digitale pensata dall’interno senza uso di photoshop, ma pensata come un photo-shot, mi interessa molto.
Il “tubo digerente” si trova in Second Life, nella land Post Utopia. Impossibile non vederlo.
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