Sicchè, mentre desiderate contemporaneamente di entrare e starne fuori, sospinti da alterne vicende, non fate ne l’una ne l’altra cosa.
(Parafrasando Petrarca nella Lettera dal Ventoso)
In questi giorni si sono agitate le acque negli stagni metaforici. Nulla di sconvolgente, magari qualche tristezza nel vedere come siano povere di fantasia le voci contro e talvolta le voci a favore di questo ambiente che ha fatto del nostro “tempo libero” (da spendere) uno “spazio libero” (da fare proprio e da abitare).
Mi è già capitato di parlare in passato di una geografia di second life e di avere citato Elisée Reclus come possibile geografo da legger per dotarsi di strumenti (se preferite skill, tool) per leggere questa esperienza in chiave spaziale. Ieri sera conversavo con Ginevra/Adriana e Frank/Mario di spazio e di SL. Convengo con loro nel dire che la cosa essenziale sta nel fatto che l’incontro effettivo con il paesaggio in rete sia un mettere alla prova se stessi e le proprie abilità e contemporaneamente lo sconvolgere una aspettativa percettiva, una categoria di pensiero (lo spazio) o una abitudine di scrivere (parlando in chat).
Ogni paesaggio pone una domanda (che sia reale o pittorico, metaforico o virtuale): come è possibile abitare lo spazio? Che cosa è una vita che prende forma dallo spazio e cosa deve fare per non sprofondarvi?
Questi sono i temi che si ritrovano anche nei testi dell’epistemologo della geografia Jean Marie Besse, il quale trova risposte in autori come Goethe, Brueghel e altri ancora.
Se si prende la lettera dal Ventoso del Petrarca, nella quale racconta la sua ascensione verso la vetta, si colgono alcuni aspetti di una notevole modernità (come adoro questo termine): “decidendo infatti di salire la montagna per godere semplicemente della vista che se ne può avere sulla vetta, Petrarca avrebbe trovato per primo la formula dell’esperienza di paesaggio nel senso proprio del termine: la contemplazione disinteressata da un’altura, del mondo aperto al suo sguardo”. E’ la stessa esperienza che si prova in SL. La possibilità di avere una idea di paesaggio all’interno di una dimensione comunicativa. Nulla di nuovo in questo ma va ricordato a volte che prima della performance e della comunicazione c’è una naturale postura dello sguardo diretto sul mondo – virtuale? metaforico? – convertendo, per così dire, all’autopsia della natura artificiale uno sguardo fino ad ora rivolto solo verso pagine bidimensionali di libri, riviste e pagine html. Second life diventa così il passaggio decisivo dell’eperienza personale nella determinazione di una verità geografica, spaziale, dello spazio della rete. In altre parole Petrarca suggerisce che l’esperienza dello spazio, l’esperienza geografica in tutti i suoi aspetti, deve essere vissuta con il corpo, la presenza fisica.
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Economia…Politica…Business…sono questi i mondi che sono in crisi su Second Life. Anche “Rifarsi una vita” è in crisi. E’ questa la lettura che fa di SL Bruno Ruffilli su La Stampa.it. Credo sia vero, credo che la RL abbia cercato di invadere lo spazio virtuale di SL con le sue consuete logiche affaristiche, con il tentativo di un imperialismo economico “virtuale”, ma egualmente selvaggio. Non intendo parlare degli aspetti economici, che non domino molto, tuttavia capisco che siano importanti per la sopravvivenza di SL e dei suoi abitanti, che hanno investito su questo sconfinato universo dell’immaginazione, rischiando perfino di indebitarsi.
Vorrei piuttosto parlare del “rifarsi una vita”, della filosofia nichilista che starebbe dietro a questa scelta di vita virtuale. Pretendere di essere in SL per non-essere in RL o perché non si-è in RL farebbe certamente correre ad SL il rischio d’essere un luogo abitato da fantasmi, da Avatar vuoti di memoria, di radici e di anima. Dice Ruffilli: “Le premesse erano entusiasmanti: dimenticare le miserie della vita di ogni giorno e inventarsene un’altra dove essere realmente ciò che si è: alti, belli, ricchi, indipendenti. Cambiando sesso ed età come si cambia abito, immaginandosi una biografia tutta nuova, a partire dal nome. Che poi non è il proprio, ma quello dell’avatar, l’alter ego digitale con cui gli iscritti di Second Life interagiscono fra loro.”. Forse per molti è stata questa la motivazione, ed è di questi non-esseri che oggi SL è “vuota”.”
A me sembra di cogliere nella nota di Ruffilli come una sorta di sottile piacere di una scommessa vinta da lui, freddo commentatore di sogni letti dal versante di RL, persa da noi, “alti, belli, ricchi, indipendenti” (ma non è così, molti scelgono, infatti, avatar molto simili alla loro immagine reale o di pura fantasia, come piante, animali, oggetti tecnologici, ecc.) sognanti abitatori del deserto. E’ su questo che vorrei contraddire Ruffilli, in nome di quegli Avatar-Persone che non applicano alla loro seconda vita la filosofia della “fuga”, bensì quella dell’amplificazione, arricchimento della propria personalità, dell’interazione con altre personalità, della comunicazione e dello scambio di esperienze, conoscenze e, perché no, sogni, ambizioni, aspettative.
Questa, a mio parere, deve essere la filosofia di SL (e di qualunque altro mondo virtuale): l’amplificazione della personalità. E questo forse ha anche bisogno del deserto. Del fascino del deserto. Del silenzio dello spazio vuoto. Della solitudine in cui ascoltare le proprie risonanze interiori, in cui cogliere il sospiro di altre anime, il loro bisogno di comunicare oltre le barriere del reale. E’ vero, anche in SL come in RL vi sono barriere. Ora si tratta di “aprire i lavori” per abbatterle, si tratta di capire il “valore” di SL, piuttosto che suonare le campane a morte per la sua fine imminente. Si tratta di capire che senso può avere per la nostra realtà il fervore di idee, di iniziative, di progetti che, fertili come oasi, si incontrano muovendosi in quel deserto, e si parlano, certo intuendo anche il rischio di quel vuoto intorno, ma che non per questo rinunciando a viverlo fino in fondo, come si addice agli esploratori, ai naviganti temerari, agli scopritori di mondi, di stelle, di continenti, di specie, ai benemeriti indagatori di nuove prospettive di lettura della realtà e del virtuale in cui siamo ormai immersi tutti insieme. Per gioco o per necessità. Per scelta o per moda. Per solitudine o per eccesso di vita sociale. Per lavoro o per “sano cazzeggio” (cito, sorridendo, Junikiro Jun di Post Utopia). Per offrire alla vita reale opzioni di sperimentazione e di riflessione sul senso stesso del nostro mondo contemporaneo.
Chiedo venia per i refusi: Lorenzza per Lorenza e, nel commento, rinunciando per rinunciano. Ciao a tutti, intanto
Classici per classici, vado con l’Infinito di Leopardi 🙂 Anche se spulciando adesso per rinfrescarmi la memoria un po’ di pagine sul web vedo che la siepe viene interpretata come realtà percettiva limitata e limitante in contrapposizione all’infinito metafisico, ricordo che a scuola il mio prof me la fece leggere come lo schermo 🙂 che circoscrive lo stesso infinito e permette di prenderne coscienza, la zona di confine e di passaggio che insieme divide e unisce, necessaria per percepire le variazioni del proprio essere nei diversi mondi-paesaggi-contesti… e bravo prof 🙂
Asian Lednev, un Gherardo Petrarca 2.0?
@lorenza @Ginevra @Neupaul grazie di essere passati da queste parti 🙂