Foto 1: Guardare Manray, elaborazione.
Foto 2: Guardare Velas che guarda Manray.
Il lavoro di Marco Manray è noto ai frequentatori di Second Life.
Lo è meno a chi non lo frequenta. Le tre repliche che mostra a Como, in occasione di Allarmi (grande mostra d’Arte Contemporanea realizzata in una caserma di Carabinieri) viste al vero e in una galleria di Second life (sezione virtuale della Galleria Overfoto di Napoli) hanno il fascino degli oggetti. Ma di oggetti potenti. La sensazione è ribaltata rispetto a quanto succede normalmente. Io, Velas, e Marco di fronte a queste immagini di avatar senz’anima (i soggetti sono gli automi pensati per generare traffico nelle sim) rese vere questa volta dalla “cosa” fotografica e non più da un immagine in pixel. Eravamo a nostra volta avatar di quel mondo. Non più osservatori partecipanti ma soggetti osservati dalle immagini, in qualche modo scorticati della pelle. Lo sguardo indiscreto del fotografo è riconoscibile e riflesso nei linemanti di questi robot che godono della loro corporeità. Il loro essere robot sembra in parte rimosso da uno sguardo consapevole e discreto. In questa stanza c’e’ tutto per ragionare su ciò che sta sotto il cielo di second life.
E sulle dinamiche con cui l’osservazione di osservazioni – già di per sè aspetto costituitivo delle logiche mediali – si rende visibile e concreta. Molto interessante.
Bel cortocircuito. In effetti, alla base del fascino della riflessione da te proposta, c’è l’essenza stessa del metaverso, o come lo vuoi chiamare. Costretti a conforntarci con i nostri “riflessi”, ci si chiede quanta dispersione possa esserci nei riflessi altrui. In fondo in second life si gioca continuamente a trasferire vita da esseri senzienti ad oggetti inizialmente inermi e viceversa.