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La cultura giapponese è cosa altra dalla nostra. Un errore che si commette spesso è quello di guardare gli altri all’interno del proprio pensiero e non riuscire a cogliere così, nella giusta dimensione, le differenze. La cultura degli anime ci è ora più vicina per frequentazione.
Ogni prodotto è figlio della cultura che l’ha generato. Ma spesso gli sguardi da una cultura ad un’altra, all’interno delle proprie pre-comprensioni, dei propri pre-giudizi, producono strane ibridazioni.
Forse, chi ha pensato a Gundam conosceva Boccioni e la sua opera? Forme uniche nella continuità dello spazio è una scultura di Boccioni del 1913 e risponde totalmente all’estetica del futurismo. Boccioni mette in scena l’uomo macchina, il “samurai” occidentale pronto alla grande sfida della “…guerra sola igiene del mondo”. Sono due pensieri e due rappresentazoni diverse dell’eroe guerriero, del mito dell’uomo macchina. Diversi sono i contesti culturali e temporali. In Boccioni c’è la fiducia verso una guerra che, ironia della sorte, se lo porterà via; Gundam nasce dopo che sono finite tutte le guerre del secolo nel quale la guerra diventa totale. Gundam mette in scena la tragedia della guerra; in Gundam “non esiste alcuna idealizzazione della guerra: essa non esalta gli animi, non è occasione per dimostrare valore, non è nemmeno mossa da un ideale, da uno scopo finale; si è persa l’epicità dei primi anime ispirati alle guerre galattiche dei robot-samurai…”*.

 

*Marcello Ghilardi; Cuore e acciaio, Estetica dell’animazione Giapponese; Esedra, Padova 2003

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Una rapida segnalazione per chi passa da Milano nei prossimi giorni: alla Galleria Pack, una bellissima mostra di due artisti che lavorano con il corpo. Un cinese, Zhang Huan, e, in particolare, Franko B.
A cura di Francesca Alfano Miglietti (FAM). Fino al 15 giugno.

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Gazira Babeli

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Performance in Locusolus di Gazira Babeli

Ho appena chiuso un post “giocando” con una parola, magia (nel senso rinascimentale del termine: conoscenza scientifca + abilità). Leggo l’inconfondibile post di Laura.
I contenuti si somigliano (capita spesso). Si parla di incorporare.
Nell’arte di oggi sono importanti i temi. L’artista deve avere una conoscenza scientifica notevole e anche lo “spettatore” deve “conoscere” gli strumenti di lettura e disponibilità a apartecipare in una dimensione performativa rinnovata dalla cultura interattiva (digitale nel senso di attitudine). Appena un accenno per un discorso molto più ampio (da farsi) sull’arte in SL.

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Nucleo, Davide Bertocchi. Snapshot di Oscar che mi fotografa dentro la sfera.
Sabato 15 Marzo, alla MAMbo di Bologna hanno inaugurato la sezione pemanente del museo: Focus on Contemporary Italian Art.

Mondi che si attraversano.
L’arte ha ricevuto molte definizioni nel tempo. Ne ha ricercate e a volte subite.
Le definizioni, oggi, in qualche modo hanno lasciato lo spazio alle “pratiche”, di lettura. Come nelle parole crociate (ma anche nella moda, nell’architettura e nel design) è l’insieme delle definizioni, oggi, che ne definiscono il significato, componendone una visione. La sua visione in forma di immagine.
Questo allestimento della Mambo ne è un ottimo esempio: le definizioni lasciano il posto ad uno spazio colelltivo reinterpretato attraverso delle opere che in un modo o nell’altro incorporano lo spettatore che si deve attivare, non deve restare passivo: una volta è musicista, una volta spettatore, altre volte sola immagine riflessa, ma mai passivo. Deve leggere (può farlo) deve ascoltare può parlare… Le opere diventano spazi di relazione tra i temi (svolti, sperimentati) e i visitatori.

Voglio parlare di un’opera in particolare: Nucleo di Davide Bertocchi.
Una sfera in resina una palla di “cristallo” che rivela molti dei nostri pregiudizi intorno alle cose dell’arte attraverso una modalità semplice: usare la voce e non gli occhi.

Tra le varie “figure” archetipiche” una tra tutte mi intriga da sempre: non l’eroe ma il mago. Il mago conosce i segreti della natura ed è innamorato dei prodigi della natura.
E’ insieme conoscenza scientifica e abilità. Il mago non supera mai le regole della natura ma le usa per spiazzare l’ovvietà della visione della vita. Anche nel più piccolo peanut può nascondersi una magia.

Quest’opera è una magia in un senso molto preciso: come una magia quotidiana che è li, tutti la possono vedere ma che solo i maghi sanno mettere in luce all’istante. Nella magia il materiale levita.

L’esperienza della magia.
Distingue tra esibizione, abilità, artificio e la capacità di penetrazione dell’essere comprendente del mistero-contenuto dell’opera (ogni opera ha un suo contenuto da scoprire).

Una sfera di resina con un foro all’altezza del capo ci permette di guardare dentro e di “non vedere nulla”. Ma è un’opera col trucco: la sfera fuori rimanda ad una visione che non è interna, è interiore.
Una volta “dentro” è la rinuncia alla visione che suggerisce di urlare con tutto il nostro fiato o di parlare e di scoprire “un carillon segreto” che con mille riverberi ci dice che siamo incorporati all’opera, partecipiamo con lei al museo non solo in termini di rito collettivo ma come parte dell’opera. E improvvisamente questo rende felici.
Tutte le magie rendono felici.
Un’opera semplice, un artista, un “mago”, semplice dei nostri giorni.
Questo museo oggi ci dice che per capire si deve entrare, abitare, attivarsi, mettersi a disposizione, immergersi per poi riemergere

… la molla della “magia” induce a correre un “rischio”: cambiare.

Monoscopio RAI: fine delle trasmissioni di Tito Varisco

Questo periodo ho lavorato molto, scritto molto e per la prima volta ho lasciato che questo mio spazio si allontanasse dalle mie cure.
Ho sempre creduto al fato e al caso. Ieri pensavo al mio blog e al fatto che non riuscivo a scrivere, a trovare un poco di tempo parlare delle “cose sensibili”. Pensavo di mettere un cartello come un tempo si vedeva sui canali RAI: “le trasmissioni riprenderanno nel più breve tempo possibile”.
Mentre pensavo questo, ero in NABA a Milano, dove insegno, e stavo andando a prendere un caffè al bar interno quando all’improvviso, leggo un nome su un edificio: TITO VARISCO (ogni edificio in NABA è dedicato). Tito Varisco era uno scenografo, un architetto ma cosa più importante ha “disegnato” il nostro tempo passato dell’infanzia.

Mario Antonio Arnaboldi scrive: “E’ un pomeriggio d’estate mi invitò nel suo studio per aiutarlo a disegnare il monoscopio destinato a concludere la fine delle trasmissioni dell’allora nascente Televisione Italiana. Montammo la carta da parati che conteneva il disegno dell’antenna spaziale, bianco su nero, su due rulli e, di sera, insieme, in uno studio RAI facevamo girare i due rulli davanti a una delle prime telecamere. L’architettura per lui era veramente un gioco …”

Ma a me piace pensare che il 12.03.2008 sia una buona data per un inizio. Quindi oggi, il giorno dopo, eccomi a scriverne.

Monoscopio RAI: inizio delle trasmissioni