Archives for category: installation art

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“Ricostruisco a me stesso la mia vita artistica: i miei quadri corrispondono alle vicende della mia vita e segnano le tappe dei dolori, dei piaceri da me provati nei diversi periodi della mia vita. Questa conclusione mi si presenta un giorno, nel quale, mettendo in ordine cronologico le fotografie dei miei quadri avverto in essi una continuità di pensiero.” (Emilio Longoni dal catalogo Skira).


Un sentiero dentro la pittura.

Mercoledì 21 ottobre alle 18.30 inaugura presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano di Via Palestro la mostra curata da Giovanna Ginex “Emilio Longoni 2 collezioni”. L’occasione arriva dalla Banca di Credito Coperativo di Barlassina di celebrare i 150 anni della nascita del pittore. Per l’occasione le due importanti collezioni vengono presentate insieme in un unica mostra in forma di installazione che ho avuto la fortuna di allestire nella sala della Villa Reale.
Ci sono due pensieri che contengono questa installazione: contenere tutte le opere in una architettura che abbia una dimensione autonoma rispetto allo spazio della Villa Reale (pur costruendo momenti di dialogo) e un secondo pensiero legato ad una idea immersiva della fruizione, di appartenenza empatica, emotiva con la pittura.
L’idea non concerne il guardare opere ma entrare in un cammino seguito nell’arco della vita da Emilio Longoni, una vera passeggiata tra le persone, le cose e i paesaggi visti per noi dal pittore. Ricostruire la percezione che, come scrive lo stesso pittore, gli si ricompone davanti quando rimette in sequenza le sue opere. Un percorso che nel tempo si è sempre più staccato dalla vita sociale per approdare sui vasti paesaggi alpini. Una passeggiata di walseriana memoria: un cammino verso un’esperienza ad occhi aperti e senza pregiudizi. In sintesi, l’allestimento è un sentiero e un sentire le opere di Emilio Longoni.


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SI riparte, si è ripartiti.
Dal mio punto di vista la definizione “mettere in narrazione il territorio di Second Life” (titolo di Giovanni Boccia Artieri per Basilicata Travel) ha un significato a più dimensioni. Il testo siamo abituati a vederlo sempre più come una didascalia di un pensiero: bidimensionale. Il testo invece ha più dimensioni: ci si sprofonda dentro, si eleva. In sostanza non solo evoca ma costruisce spazi. Questo è quanto stiamo facendo direttamente con il Romanzo Collettivo la Torre di Asian ad esempio. Ma questo è alla base di tutto il mio lavoro in Second Life. Credo che in qualche modo, Second Life, cio che ha permesso è la definizione di una nuova calligrafia che ha delle caratteristiche molto particolari: ha una qualità tridimensionale e immersiva; si costruisce come testo, come relazioni tra elementi simbolici che individuano spazi tenuti insieme dal tempo; è inoltre capace di contenere e rendere partecipi della definizione dell’ambiente dall’interno chi vi abita e chi vi produce il proprio pensiero.
Il pensiero centrale è che non esiste uno spazio che non sia collettivo: è una condizione di sopravvivenza, è la coscienza specifica dello spazio.
Questo genere di mondi non sono un analogo di un paesaggio interiore e non sono mai riducibili a una dialettica io-mondo, soggettivo-oggettivo; comportano uno spostamento sul piano del linguaggio, della cultura intesa come sommatoria di comunità parlanti.
Il progetto del museo di Lucania Lab, il secondo livello museale, è in questi pensieri che trova la sua origine.

Second Life è per il momento l’unico strumento che mi permette di ragionare in questi termini e di sperimentare lo spazio come scrittura tridimensionale. E non solo come pura teoria ma come virtualità realizzata. Per questo lo sento ancora fresco. La relazione con gli altri Social Network rafforza questo pensiero di spazializzazione del testo.
Ma ne parlerò poi.
A Roma il 6 giugno, al convegno Ars in Ara, parlerò di queste cose e di altre (convegno ARS in ARA Second Life a cura di Marina Bellini e Paolo Valente).

Quella di oggi è la grande giornata delle feste futuriste. La grande giornata di rivendicazione dei propri futurismi.
In ogni città c’e’ “la festa futurista” perchè di lì un tempo è passato.
Ci sono poi certe forme di scritture, come certo giornalismo, il biografismo e comunque i racconti, che ribadiscono la figura dello scrittore all’interno del racconto. Io e questo post siamo un esempio.
In realtà è un pretesto per esprimere un modo di ragionare sulle cose dell’arte, le immagini e il tempo.


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Cartolina dal futurismo. (Da una foto originale di Olivo Barbieri)


Non posso dire di essere stato presente in quel 5 febbraio del 1909 alla Gazzetta dell’Emilia, data nella quale uscì in Italia la prima versione del manifesto, o di essere presente il 20 dello stesso mese a Parigi per l’uscita del Maifesto sulle pagine de Le Figaro, ma posso dire di avere esposto al PAC le opere delle collezioni d’arte, il CIMAC del comune di Milano.

Nel 2001, infatti, mi è capitato di allestire al PAC di Milano con i miei colleghi, Italo Rota e Emmanuele Auxilia, una mostra sul futurismo, propedeutica all’apertura del museo del Novecento che si sta realizzando in Piazza Duomo a Milano (in corso di cantiere sotto la direzione artistica mia e dello stesso Italo Rota).

La mostra muoveva su un concetto di dispositivo legato all’idea di tempo. Innanzitutto una idea: il futurismo non poteva non nascere che in uno spazio rivolto al passato come l’Italia. Anche nelle innumerevoli mostre che si vedono in giro, salvo rare eccezioni, il futurismo è passato. Lo si guarda come si guardano le cose del passato. Un’immersione nel passato di una corrente artistica. Oggi la parola immersività ha un significato ormai semplice da cogliere. Qui è stata declinata in una chiave concettuale: l’immersività non è solo sensibile per il corpo ma piuttosto lavora sulla sovversione di una abitudine visiva.
L’idea non era quella di rinnovare l’attenzione su un movimento o di mostrare la più completa e bella collezione al mondo posseduta dal comune di MIlano presso il CIMAC. L’idea era quella di costruire un dispositivo che potesse rimettere in gioco la potenza di queste opere. Per fare questo era necessario “spostare” nel tempo le opere stesse richiamndo dei “testimoni” che ne garantissero il meccanismo dispositivo.
Esporre il futurismo in ambiente “futurista”, come si vede fare spesso, comporta in qualche modo una riduzione di potenza del messaggio delle opere stesse. Queste opere sono veri manifesti per veicolare un pensiero che ha introdotto innumerevoli novità nel panorama culturale europeo.
Il dispositivo “installazione” concepito come lo pensano gli artisti, ha lavorato come una machina del tempo: ha collocato le opere su elementi che ne recuperavano, evocandoli, gli ambienti all’interno dei quali quelle opere erano nate e dalle quali se ne erano allontanate. Gli elementi funzionano come “testimoni oculari” – o forse occulti in quanto lavorano per evocazione, per rimando. Questo per rimettere in moto una energia che oggi è riconosciuta come cosa ovvia ma indebolita da una visione storiografica; la funzione di “testimone oculare” serve a ricostruire il mood dal quale si voleva fuggire, come recita il manifesto futurista del 20 febbraio.
I testimoni: i tappeti originali di fine ‘800 che arredavano le case borghesi milanesi, o come le coeve tappezzerie, l’illuminazione originale a incandescenza della Edison, l’affiancamento alla pittura sociale milanese – il quadro di Pasquale Sottocornola raffigurante l’uscita dagli operai in una milane fine 800 illuminata non più da lampioni a Gas ma da lampade Edison.
Erano tutti elementi chiamati a testimoniare l’ambiente del tempo. Le opere così riacquistano la loro potenza, l’energia originaria; tutta la forza di affermazione che possedevano. Per contrasto ritrovano quell’energia che la “tradizionale” museografia ha relegato dentro i percorsi della storia dell’arte.


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Foto originale di Olivo Barbieri


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Foto originale di Olivo Barbieri

Personalmente si tratta di una verifica. Ogni progetto, ogni mostra, è una cura ad un pensiero assillante; è una indagine all’interno di una ossessione che ha lo scopo di trovare una soluzione.
Non è mai solo una questione scientifica, una questione tassonomica.
Alla fine è sempre una sperimentazione e ciò che conta è che deve spostare qualcosa nell’esperienza e nella coscienza di chi l’ha pensata; se poi riesce a spostarlo anche in chi viene a vederla allora sarà “riuscita”. Allora vi aspettiamo a Rinascimento Virtuale.


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Villa Reale, GAM, Milano 2005, foto © Oscar Ferrari

Durante i lavori di rinnovamento della GAM, sono intervenuto dentro il museo con una intallazione temporanea che entrava in relazione con l’ambiente dialogando con le stanze del museo. Il cantiere necessitava di chiudere le sale e di metterle in sicurezza. Ho così colto l’occasione, in accordo con il conservatore del museo dott.ssa Maria Fratelli e con l’allora direttore dott.ssa Alessandra Mottola Molfino, per fare una installazione immersiva per il visitatore creando una dimensione all’interno di un altro tempo, contemporaneo, dove la relazione tra le persone, l’ambiente e la luce hanno assunto un valore concettuale.

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Villa Reale, GAM, Milano 2005, foto © Oscar Ferrari

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Villa Reale, GAM, Milano 2005, foto © Oscar Ferrari