Archives for category: fiction

01-wmlucanialab


02-worldmaking


03-worldmaking


SI riparte, si è ripartiti.
Dal mio punto di vista la definizione “mettere in narrazione il territorio di Second Life” (titolo di Giovanni Boccia Artieri per Basilicata Travel) ha un significato a più dimensioni. Il testo siamo abituati a vederlo sempre più come una didascalia di un pensiero: bidimensionale. Il testo invece ha più dimensioni: ci si sprofonda dentro, si eleva. In sostanza non solo evoca ma costruisce spazi. Questo è quanto stiamo facendo direttamente con il Romanzo Collettivo la Torre di Asian ad esempio. Ma questo è alla base di tutto il mio lavoro in Second Life. Credo che in qualche modo, Second Life, cio che ha permesso è la definizione di una nuova calligrafia che ha delle caratteristiche molto particolari: ha una qualità tridimensionale e immersiva; si costruisce come testo, come relazioni tra elementi simbolici che individuano spazi tenuti insieme dal tempo; è inoltre capace di contenere e rendere partecipi della definizione dell’ambiente dall’interno chi vi abita e chi vi produce il proprio pensiero.
Il pensiero centrale è che non esiste uno spazio che non sia collettivo: è una condizione di sopravvivenza, è la coscienza specifica dello spazio.
Questo genere di mondi non sono un analogo di un paesaggio interiore e non sono mai riducibili a una dialettica io-mondo, soggettivo-oggettivo; comportano uno spostamento sul piano del linguaggio, della cultura intesa come sommatoria di comunità parlanti.
Il progetto del museo di Lucania Lab, il secondo livello museale, è in questi pensieri che trova la sua origine.

Second Life è per il momento l’unico strumento che mi permette di ragionare in questi termini e di sperimentare lo spazio come scrittura tridimensionale. E non solo come pura teoria ma come virtualità realizzata. Per questo lo sento ancora fresco. La relazione con gli altri Social Network rafforza questo pensiero di spazializzazione del testo.
Ma ne parlerò poi.
A Roma il 6 giugno, al convegno Ars in Ara, parlerò di queste cose e di altre (convegno ARS in ARA Second Life a cura di Marina Bellini e Paolo Valente).

Advertisement


Аэлита, Aelita, Queens of Mars, (1924) regia Yakov Protazanov
Estratto da YOUTUBE. Musica di Cleaning Women

Gor made a telescope that enables to observe life on the other planets
Gor: A great invention, but il must be kept a secret
Aelita the Queen of Mars: Show me some other worlds! No one will find out
Gor: I’ll show you life on our neighboring planet

Dialogo dal film

Guardare una cosa è un poco come fare penetrare la cosa stessa attraverso gli occhi, permettergli di entrare nella nostra testa, dentro di noi affinché la cosa possa farsi conoscere. Ma è anche come se il nostro stesso occhio penetrasse la cosa per renderla nota al cervello, come se una mano fatta del più semplice sguardo attraversasse la cosa per appropriarsene.
Questo è ciò che accade quando si fa esperienza della tele-visione, intesa non solo come elettrodomestico: il nostro spazio viene attraversato da storie di altri, da pensieri di altri quando nello stesso tempo la telecamera ha agito verso quegli stessi altri. L’altrove diventa presente.

Aelita è un film che mostra l’ingresso nell’altrove: non è fantascienza alla Jules Verne dei Meliès, una “falsa partenza” per il cinema di fantascienza; non è la realizzazione di un sogno e non è nemmeno un film di “sola propaganda sovietica” come spesso viene liquidato. E’ l’ingresso in un mondo vero e reale costruito da una mente che è presente e reale; è un pensiero preciso sul suo tempo.
E’ il primo film dove viene mostrato lo scrutare in altri mondi, per cercare nell’altro un senso per il proprio mondo e non per costruire una via di fuga onirica: è espediente per parlare della Russia e della rivoluzione ma anche per fare entrare in una “galleria d’arte contemporanea a scena aperta” il grande pubblico, per farlo entrare nella nuova dimensione estetica che sta cambiando. Marte è costruita in chiave cubo-futurista ad opera degli scenografi Isaak Rabinowitsch, Serger Koslowski e Viktor Simow; i costumi sono di Aleksandra Exter: è un viaggio nel presente della ricerca più alta dell’arte del tempo.
Protozanov esce con il suo film nel 1924: il telescopio che permette la tele-visione della vita sulla terra precede la stessa parola di 23 anni: solo il 10 marzo del 1947 verrà coniato il termine televisione e il suo acronimo TV ad Atlantic City.
Il guardare altrove o in un altro tempo è sempre stato un modo utilizzato dagli scrittori per parlare del presente. Un esempio: se il romanzo dell’Ottocento è una “virtualizzazione” del mondo, nel senso che isola e rappresenta la realtà per osservarla da vicino e poterla capire meglio, il Manzoni ci porta dentro ad una visione seicentesca per parlare delle questioni del proprio tempo (l’ottocento).
Nel film si apre una finestra e si capisce che questa apertura porta alla conoscenza di un altro che ci mostrerà come siamo fatti noi stessi.
E’ un film molto datato per certi aspetti ma anche molto attuale per altri; tra questi nel mostrare le implicazioni dell’osservare “altri mondi”, fare esperienza di altri mondi… In altre parole nel mostrarcene una causalità.

obama003

Risultato del flickrator alla voce Barack Obama :
collezione di immagini dalla 16 alla 30 di 146351 immagini (miniature dall’album di “lee and heather”)

flickrator003

Risultato del flickrator alla voce Rinascimento Virtuale:
569 risultati
(miniature dalla 91/105 di 569 dall’album di Adriana Ripandelli)

Esiste una permeabilità delle esperienze (le cose fatte) che attraversa il nostro tempo che è sempre e solo al presente; usiamo il tempo dell’IO (il qui e ora) per capire le cose (passato e futuro possono sempre e solo essere evocati o anticipati secondo quanto espresso da j.T.Fraser nel concetto di Nootemporalità). In altre parole: le cose che facciamo non restano isolate nel tempo ma si rimandano continuamente tra loro.

Anche l’osservazione delle immagini lavora con una idea di permeabilità. Ogni immagine che guardiamo ci pone di fronte a qualcosa che è stato visto e fotografato anche da altri: il nostro tempo presente soggettivo (io che guardo ora) si pone così a confronto con quello oggettivo degli altri (ogni scatto fotografico storicizza un evento).
La fotografia ha sempre una pretesa di oggettività (attesa, inattesa e disattesa allo stesso tempo) che non sempre è reale: è un frame all’interno di tanti e possibili che possono assumere diversi significati in ogni istante.
Le immagini però hanno una grande potenza: si dilatano le une sulle altre. Si rimandano tra loro. Esiste una permeabilità delle immagini nel senso che nell’insieme delle visioni costruiamo una nostra esperienza soggettiva della cosa fotografata che è sovrapposizione, estensione, dilatazione del soggetto. L’esperienza diventa narrativa quando la visione di più immagini ci permette di ricostruire una storia. Anche Flickr, come altri archivi è uno strumento che consente questo: con l’uso dei tag e del widget Flickrator ci permette di vedere più immagini (scattate da persone diverse) di un singolo evento; nell’insieme queste visioni ci permettono di costruire una idea della cosa. Le note aiutano nella costruzione di questo senso e infine l’accostamento e la ricostruzione di una “cronologia” delle immagini permetto la lettura delle varie immagini come fossero istanti di un fotoromanzo collettivo e diffuso nella rete pronto da condividere. Le immagini quindi diventano permeabili, il racconto di ogni singolo scatto accoglie i racconti degli altri scatti per rimando. Le immagini pubblicate sugli archivi online diventano non solo elemento di narcisismo ma motore di costruzione di nuovi racconti sul reale.

000sx2.jpg

Tashrih-i badan-i insane – Illustrazione anatomica da manoscritto Persiano, ca. 1400-1500. National Library of Medicine
Autore: Mansur ibn Muhammad ibn Ahmad ibn Yusuf ibn Ilya (fl. ca. 1390)

In una retta che parte dall’interno del nostro corpo per raggiungere il suo capo estremo, l’outer space (lo spazio profondo) è possibile compiere un viaggio all’interno di spazi che cambiano la nostra relazione con il mondo delle cose.

La partenza: immaginiamoci di viaggiare dentro le cavità del nostro corpo e di visitare lo spazio continuo che ci attraversa; forse non è cosa semplice. Eppure ci siamo abituati a vedere “proiettati” i nostri corpi al di fuori dei normali luoghi in cui viviamo; dalla fantascienza alla fantasy arrivano sollecitazioni per abitare mondi fantastici (e qui mi ricordo il Manuale dei luoghi fantastici di Gianni GUADALUPI e Alberto MANGUEL). Immaginarci dentro un corpo, nelle sue cavità, oltre ad essere cosa “raccapricciante”, è forse anche cosa sconveniente. Immergerci nello spazio sopra la nostra testa è al contrario vista come cosa poetica. La prima modalità di viaggio è quella dello speleologo che si cala negli spazi del corpo o anche il palombaro che si immerge nell’ignoto del blu profondo degli oceani; la seconda è l’arte del volo.

Il volo, dentro o fuori l’atmosfera, è una uscita da uno spazio tridimensionale, misurabile con la fisicità del corpo, che si estende in una dimensione di percezione “altra”, imponderabile, multispaziale e mutitemporale dove la velocità della macchina determina la velocità di fuga dalla realtà (direbbe Paul Virilio). Ma anche l’immersione nel corpo è altrettanto uscita da uno spazio: da quello ortogonale cartesiano dell’angolo retto. Come scriveva Guy de Maupassant: “Il viaggio – e noi diremo il volo o l’immersione nel corpo – è una specie di porta, per la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno”. Negli anni 60 (anni dominati da una forza centrifuga) sono “uscite” diverse cose da alcune porte: i primi furono gli artisti dalle gallerie per andare scolpire i deserti americani (Robert Smithson e co.); contemporaneamente furono i cosmonauti e gli astronauti che, lanciati verso l’alto, al di fuori dell’atmosfera, percorrevano la lunga e faticosa “ferrata” verso la Luna (e qualcosa di più oltre); i figli dei fiori costruiscono le drop city a Sausalito in California e gli Archigram progettano le Walking City. Tra le altre cose fuori dagli schemi, sono usciti dagli stabilimenti di produzione cinematografica due film diversi ma allo stesso tempo simili in quanto raccontano di due “fughe”, due “derive” della ricerca scientifica in direzioni diverse: il primo è il celeberrino 2001 A space odissey (1968) di Kubrik; il secondo è un film meno noto ma altrettanto visionario e punto di arrivo di una ricerca visuale sul corpo in corso da tempo (si veda per questo argomento Dream Anatomy, completo sito della U.S. National Library of Medicine) con differenti implicazioni etiche rispetto all’odiessa: Fantastic Voyage (1966), di Richard Fleischer.

y3.jpg

Statuetta d’avorio del 1500-1700 circa (provenienza Europa). Depositata presso: Alabama Museum of the Health Sciences, The University of Alabama at Birmingham

Se 2001 scopre l’outer space, Fleiscer è il primo cineasta che lavora sulle immagini del corpo mostrandolo come corpo cavo, come corpo abitabile e attraversabile; in altre parole come luogo a tutto tondo.

Per entrambi i film, i rumori sono parte integrante dello svolgimento narrativo. Per Fleischer sono i rumori del corpo e quindi della sua attività fisiologica. Per Kubrik sono il silenzio assoluto e i rumori della tecnologia che analizza, scava, indaga il corpo umano: dal respiro di David al “lamento” del Golia-HAL9000 nello “scontro” finale, freddo, tra le due intelligenze (non sarà un caso se Michel Chion, tecnico del suono francese inventore dell’audiovisione, ha scritto un suo manuale per leggere il lavoro di Kubrik).

body02.jpg
Immagine tratta da Fantastic Voyage, regia di Richard Fleischer © 1966 ©2001 Twentith Century Fox.

body01.jpg

Immagine tratta da Fantastic Voyage, regia di Richard Fleischer © 1966 ©2001 Twentith Century Fox.

body-04.jpg

Immagine tratta da Fantastic Voyage, regia di Richard Fleischer © 1966 ©2001 Twentith Century Fox.