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CARTOLINA


Cartolina del troppo lavoro


Già ho mostrato questo ambiente qualche volta su questo blog. Un punto di osservazione verso ciò che sta fuori, una “panchina obbligata “per “passeggiare da fermi” quando si tira il fiato durante un lungo lavoro. Un punto anche dove raccogliere e tenere e mettere insieme e costruire relazioni.
Come dice Georges Perec “ogni appartamento è composto da un numero variabile, ma finito di stanze; ogni stanza ha un numero funzione particolare“. Ogni stanza è definita dalle cose che ci stanno dentro: la camera ad esempio è caratterizzata dalla presenza del letto. La cucina dal forno ecc ecc. Questa è la stanza dalla quale costruire, guardare e pensare altri luoghi. Pensare mondi. Pensando a quanto appena citato da Perec aggiungerei per quanto mi riguarda che in ogni stanza (di numero finito) ci stanno e ci possono stare infiniti mondi.

Saluti da qui

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SI riparte, si è ripartiti.
Dal mio punto di vista la definizione “mettere in narrazione il territorio di Second Life” (titolo di Giovanni Boccia Artieri per Basilicata Travel) ha un significato a più dimensioni. Il testo siamo abituati a vederlo sempre più come una didascalia di un pensiero: bidimensionale. Il testo invece ha più dimensioni: ci si sprofonda dentro, si eleva. In sostanza non solo evoca ma costruisce spazi. Questo è quanto stiamo facendo direttamente con il Romanzo Collettivo la Torre di Asian ad esempio. Ma questo è alla base di tutto il mio lavoro in Second Life. Credo che in qualche modo, Second Life, cio che ha permesso è la definizione di una nuova calligrafia che ha delle caratteristiche molto particolari: ha una qualità tridimensionale e immersiva; si costruisce come testo, come relazioni tra elementi simbolici che individuano spazi tenuti insieme dal tempo; è inoltre capace di contenere e rendere partecipi della definizione dell’ambiente dall’interno chi vi abita e chi vi produce il proprio pensiero.
Il pensiero centrale è che non esiste uno spazio che non sia collettivo: è una condizione di sopravvivenza, è la coscienza specifica dello spazio.
Questo genere di mondi non sono un analogo di un paesaggio interiore e non sono mai riducibili a una dialettica io-mondo, soggettivo-oggettivo; comportano uno spostamento sul piano del linguaggio, della cultura intesa come sommatoria di comunità parlanti.
Il progetto del museo di Lucania Lab, il secondo livello museale, è in questi pensieri che trova la sua origine.

Second Life è per il momento l’unico strumento che mi permette di ragionare in questi termini e di sperimentare lo spazio come scrittura tridimensionale. E non solo come pura teoria ma come virtualità realizzata. Per questo lo sento ancora fresco. La relazione con gli altri Social Network rafforza questo pensiero di spazializzazione del testo.
Ma ne parlerò poi.
A Roma il 6 giugno, al convegno Ars in Ara, parlerò di queste cose e di altre (convegno ARS in ARA Second Life a cura di Marina Bellini e Paolo Valente).

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Questo palazzo sono io?


Un tempo facevo illustrazioni per una rivista. Costruivo racconti per immagini che cercavano elementi narrativi per descrivere i luoghi. Queste immagini.
Non le faccio più. Era il 2001.


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Come brilla l’aria, tanto da dimenticare tutto


Sistemando le cose nelle mie memorie digitali, ora le riscopro e le rileggo con gli occhi di oggi, tempo nel quale si cerca una nuova sostenibilità e una nuova relazione con gli spazi e l’abitare.
Ricordo che pensavo a come brilla la luce nella città, a come si colora in funzione del tempo atmosferico. Vivere Milano con il grigio delle nuvole è un’esperienza difficile da raccontare, ma è vero che quel grigio scalda.


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Le città sembrano ormai essere come navi che prendono il largo


Lo spazio è un unico spazio, e il pensiero è un solo pensiero, ma ho sempre diviso spazi e pensieri come stanze di condomini. Il mio abitare lo spazio, gli spazi diversi… era come abitare una città fatta di condomini.
Quando pensavo allo spazio, al tempo, pensavo al mio condominio abitato stanza per stanza, da me e le persone che conosco: la mente crea spazi negli spazi che si riempono di cose e di persone.


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Qualcosa ci chiama con urgenza


Dopo tanto tempo penso alle cose che possiedo e che ho accumulato, infinità di libri e cose, immagini e altro. Penso alle stanze che li ospitano. Sono spazi produttivi. Che pensano ormai anche senza la mia presenza (a questo ci pensa l’apparato simbolico che ognuno di noi mette in campo. Tutti i luoghi abitati hanno questa qualità.
Per cambiare una idea devi staccarti dallo spazio che l’ha prodotta. Lo spazio e il pensiero sono uniti in una chiave che è l’abitare (enorme è la letteratura per sostenere questa ipotesi e per questo motivo non cito nessuno).


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Come da un diario intimo


Continuando ad andare

Il primo dell’anno ha una sua caratteristica tutta speciale: è come se fosse sospeso nel tempo. E’ un luogo temporale dove si possono ripensare alcune cose. Così “ripenso” ad un “racconto”, una biografia associata ad una idea di luogo scritto su commissione dall’amico Piero sui temi di una topologia.

(…) Nei tempi in cui nessuna visione Tarkovskiana poteva ancora avermi influenzato il guardare e il riconoscere le cose, con i due soliti amici Stefano e Luca – in tre non facevamo i qurantanni – procedevamo nel quartiere grazie al caso suggerito facendo ruotare un sasso a forma di penna. Di caso in caso il quartiere (tra i più grandi e problematici di Bologna) è stato da noi conosciuto e ogni luogo ci riservava sorprese. Il mio quartiere al tempo era un luogo pieno di scoperte da fare: andava dal greto del fiume Reno fino al grande cantiere della nuova tangenziale urbana.

Lo stesso quartiere era anche un grande “cassetto” dove mettere le cose che non si potevano tenere in casa: brandelli di giornaletti “sporchi” recuperati nei cantieri edilizi che rappresentavano cose al tempo ancora poco chiare da capire, le 5000 lire trovate a terra che di giorno in giorno si trasformavano in ghiaccioli e liquirizie o il fasciame di legna trafugato da ciò che restava di un vicino rivenditore di semilavorati per falegnami che permise a noi di costruire numerose possibilità di divertimento.

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Credo che lì, “tra la via Emilia e il west” – di Gucciniana memoria – si sia formata la mia coscienza geografica e che quel metodo, privo di speculazioni intellettuali ma solo frutto di uno spirito ludico vero e pieno, sia responsabile di tanto mio modo di fare di oggi.
Il film Stalker di Tarkowski mi ha dato solo delle conferme: anche lì, nella zona, a guidare è lo stalker che non pensa in relazione a una conoscenza ma in relazione a un’esperienza del luogo.
Ho sempre pensato questo in relazione alle situazioni e ai luoghi. Ho sempre diffidato delle emozioni legate alla letteratura dei luoghi in favore di un’esperienza diretta.

La letteratura dei luoghi da me preferita è quella più lieve dei racconti di Robert Walser sulla passeggiata, di Peter Handke sui pomeriggi a zonzo dello scrittore medesimo: la presentazione di un’attitudine a stupirsi, già introdotta da H.D.Thoreau nel suo saggio sul Camminare.
La stessa attitudine di uno spirito lieve che si lascia corrompere dal caso è sperimentata anche nel mondo dei manga da Jiro Taniguchi in diversi suoi romanzi a fumetti.
I luoghi migliori sono sempre quelli che al momento si trovano davanti allo sguardo e che mi chiedono di essere conosciuti. Si presentano complici. Non c’è luogo che non nasconda una storia da scoprire e da vivere e infine da raccontare.

Ci sono luoghi che sedimentano dentro di noi e che vengono rivisitati come si faceva con le favole. “A mille ce n’è…” cantava la canzoncina e come una formula ipnotica ti apriva all’esperienza della favola, dove si imparava molto più di una storia: si imparava a stare al mondo. Potere delle metafore e della capacità dei bambini di assorbirle senza bisogno di spiegazioni.
Così sono i luoghi.
Spesso, sono pezzi di strada brevi, percorsi a piedi, ma all’interno della loro visione mi sento particolarmente a mio agio: la via Francesca a Sambuca Pistoiese, un tratto di 30 metri fatto di luce, pietre, frasche. Un’esperienza che si colora di viola chiaro improvvisamente. In quei trenta metri vieni ripagato di tutta la fatica per raggiungerli. L’effetto funziona sia che sia nuvoloso, sia che ci sia il sole perché comunque quel colore risuona in quel tratto e solo in quel tratto.
Come tutte le favole hanno un termine, così uscire da un luogo, da un racconto, ha bisogno di un evento come lo schiocco delle dita dell’ipnotizzatore al termine della seduta. Uscire da un luogo: non lo si può fare girandosi all’indietro ma sempre guardando avanti, come insegna il mito.
E’ come per tutte le storie: per ascoltare un luogo “… basta un po di fantasia e di bontà…”.
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La torre di Asian, romanzo collettivo a tre dimensioni.

Da tempo in Second Life c’è un gruppo di persone che sta scrivendo collettivamente un romanzo: la torre di Asian. Tutto parte dalla dimensione collettiva di esperienza dello spazio e dalla volontà di Lorenza Colicigno aka Azzurra Collas, di riunire intorno ad un unico “tavolo” (in questo caso una torre) candidati scrittori di un romanzo che domani verrà persentato (in forma di progetto e nei suoi primi sviluppi che contano 4 capitoli) a Più Libri, festival della media e della piccola editoria. La scrittura collettiva del romanzo svela (o suggerisce) uno degli aspetti propri di Second Life: il suo essere luogo di condivisione di progetti sia nella sua fase di “costruzione” che nella sua fase d’uso, sia che si parli di spazi, sia che si parli di oggetti o di cose che metaforizzano lo spazio. Ogni cosa prodotta in SL ha uno scopo per chi la produce, ma ancora di più nella relazione con gli altri. Per questo motivo è stata fondata anche l’isola della Torre di Asian, un luogo dove il romanzo trova il suo spazio, trova il suo luogo o ancora meglio si dà luogo; come suggerisce Azzurra, l’isola è il luogo dove il romanzo diventa tridimensionale.
Appuntamento per l’8 dicembre ore 10.30 Spazio Blog, Roma

Grafica di Cristian Contini

Ogni giorno che passo davanti alla stazione di Milano e a quella di Bologna vedo il conto alla rovescia. Non sempre i conti alla rovescia sono perfetti o puntuali (Milano e Bologna hanno due giorni di differenza nel count down). Ma certo sappiamo ormai che il 21 di ottobre aprirà la mostra di Firenze, ideata, pensata, inventata, voluta e curata da Mario Gerosa.
La sua interpretazione (corretta e condivisa) mi ha convinto per un motivo semplice: è uno sguardo allargato, globale (a volo d’uccello) della produzione all’interno della rete. Non si perde in tecnicismi ma gli interessa osservare un mondo fragile in continua evoluzione.
Personalmente, invitato a curarne l’allestimento, ho iniziato questo lavoro non facile di portare nel mondo reale delle cose immateriali, in una forma di racconto. Mantenere questo sguardo allargato globale non è semplice. Non è il problema di mettere bacheche o di trovare le giuste immagini ma di costruire una vera installation art, dove tutto il museo racconta il senso del lavoro, ogni cosa assume un ruolo preciso all’interno della costruzione di senso della mostra. L’allestimento parte dalla negazione di un’enfasi verso un modo di vedere Second Life, un modo che “separa” la vita dentro second life da quella reale. Fin dal principio ho cercato ponti, limiti, regioni delle due modalità per vedere come tenerle unite seppure esse siano separate. La ricerca di questi limiti (da oltrepassare-riconettere) non muove da una visione globale generale ma da una posizione “obliqua” che cerca di studiare più il particolare, l’indizio minimo dal quale ricostruire tutto il senso della mostra.
Il faccia a faccia tra spettatore e Second Life è qui mediato da un dialogo tra civiltà differenti esposte nel museo e l’osservazione del singolo referto etnografico; l’osservazione del suo dettaglio ci mostra tanto delle nostre scelte estetiche operate nei mondi virtuali. Sono rimandi, riflessi di quello che siamo diventati.
Queste riflessioni, questi riverberi, diventano la sola vera guida per entrare nella Second Life per quello che è: uno spazio antropologico da vivere (studiare) a tutti gli effetti.
Quanto detto è il concetto espositivo che si affianca al lavoro curatoriale di Mario gerosa.
Per chi ancora non lo sapesse l’evento si colloca all’interno del Festival della Creatività e sarà fatto con la Fondazione Sistema Toscana
Alcune delle cose che sono state dette le trovate quiqui.
Qui trovate la presentazione del progetto nel quale si citano Moleskine (sostenitrice dell’evento-mostra Rinascimento Virtuale) con una che con l’aiuto di Adriana/Ginevra uno dei dispositivi irritativi che si incrocierà nelle sale.
Anche nel sito ufficiale della fondazione: intoscana.it, e nel sito del corriere della sera alla pagina “Culture”.

… cantiere di storia, … “l’umanità non è in rovina, è in cantiere. Appartiene ancora alla storia. Una storia spesso tragica, sempre ineguale, ma irremediabilmente comune”. Marc Augé*

Cantiere digitale

Nel post precedente e in tanti altri collegati si è parlato di un “luogo” costruito all’interno di Second Life, per sottolineare una volta di più che lo spazio suggerito come virtuale può diventare uno spazio dove fare “cantiere” di idee, dove sperimentare anche nuove forme del ricordo.

Oggi facciamo esperienze di “tempi” diversi nello stesso spazio: le nostre città sono lì,con la loro storia sedimentata, accumulata, a dimostrarcelo. Lo scarto del tempo è molto ben visibile nel paesaggio urbano europeo. Che relazione intrecciare allora nello spazio definito, un tempo, “virtuale” e “in tempo reale”?
Spazi come quelli “virtuali” (intendedoli solo per la loro natura geometrica in questo senso) possono diventare spazi di contenuti dove l’intera umanità, il suo pensiero, potrebbe rinnovarsi all’interno di un cantiere che è digitale. Uso il termine cantiere perchè anche l’ambiente digitale si costruisce e, normalmente, contenuti e forma si costruiscono nello stesso momento: si fanno luogo nello stesso tempo.
Sto parlando del recupero di idee, memorie, veri interventi di costruzioni di racconti attraverso lo spazio del digitale tridimensionale.
Mentre tutto concorre a dirci che la storia è finita e che il mondo è uno spettacolo nel quale quella fine viene rappresentata, abbiamo bisogno di ritrovare il tempo per credere alla storia.
Di archivi e di memoria del digitale si è parlato anche qui.

Con Elena, Adriana, Roberta, Giovanni, Martha, Laura, Gianky, Tonino, Azzurra (dove nel suo Laboratorio di Parole a Postutopia si terra un reading), ecc… abbiamo aperto un cantiere dove dare spazio alla ricostruzione, emozionale, di una memoria che sta cercando uno spazio anche qui. Su Second Life si può! Un cantiere per ritessere memorie al di fuori di una erudizione storicista: ri-leggere storie passate mostra sempre uno scarto che è la percezione del tempo. Il tempo è fragile, si spezza istantaneamente e viene cancellato in un batter d’occhio dal ricordo che ricompone a suo modo l’evento e dall’erudizione e dall’interpretazione dello storico.



Dare una immagine a un’idea è la forza di questi spazi; costruire una visione, emozionale, riporta alla tradizione pittorica italiana (dall’umanesimo in poi, per arrivare ai più alti esempi del divisionismo). Qui però l’immagine fa parte di me, la compongo io stesso, con la mia avie-presenza (con il mio avatar) e con il mio sguardo.

da: Marc Augé, Rovine e Macerie, Bollati Boringhieri, 2004

Come dice giustamente Giovanni nel suo post (pubblicato mentre si stava costruendo questo evento), Mondine in Second Life “è un atto simbolico che prende corpo”. Ne potete leggere anche qui, post scritto da Elena nel sito ufficiale del gruppo Mondine 2.0, da Laura/Liu e da Elena/Velas.
Ognuno di noi ha il suo 25 Aprile, anche Roberta ne parla.
Nato da una telefonata, da qualche chat, questo scrigno di “cristallo”, questa skybox museo, sarà inaugurata oggi, 25 aprile 2008, nella land Mondine in Second Life, collocata nella regione di Genesi Italia.
Perchè fare una cosa del genere in un ambiente digitale, “virtuale”?
Il pensiero che sta alla base dell’operazione è un segnale raccolto, anzi trasmesso, da Alberto Cottica: documentare, raccontare, presentare il passaggio di testimone di una generazione di mondine (l’ultima vera) a una nuova generazione che seppure non abbia vissuto quel tempo, si fa carico di trasmetterne i significati, le forme e i contenuti del canto delle mondine (“Di madre in figlia 2.0”).
Allora il senso di questa operazione è quello di poratare contenuti sociali all’interno di second life.
Nel mio caso è pure una possibilità di rendere emozionale una idea all’interno di una dimensione a sua volta immersiva (second life). Alcuni lavori, passati, dimenticati hanno assunto ormai una dimensione metafisica. Questo museo ci racconta anche questo: una metafisica del lavoro, della risaia. Non ci sono spiegazioni: la risaia e gli abiti delle mondine (da prendere e indossare) sono lì. E’ solo l’inizio. Il plot è chiaro. Allora: a laurà! (A lavorare!).

Il mondo senza la mappa è un interessantissimo volume di Federico Ferretti. Espone il pensiero di un geografo (e dell’ambiente geografico anarchico intorno a lui) che gìà mi è capitato di citare: Elisée Reclus.
Il libro in questione, infatti, tratta di una geografia anarchica che in tutto il corso dell’ottocento va delinenadosi a fianco della geografia più accademica. Se si leggono gli scritti di Reclus si scopre come il suo modo di leggere il mondo è molto attuale: parla di “rete, movimento, metissage, geografia sociale, globalità e unità del mondo, comparativismo, spessore del mondo, educazione, giustizia”. Questo riporta il libro di Ferretti.

Ho preso in mano questo libro oggi per due motivi: il primo è il post di ieri che parlava della geografia in SL. L’assenza di un Globo e quindi di una misura di unità è già cosa in qualche modo “anarchica”. In analogia con il pensiero di Reclus “…questo mondo senza carte è un mondo che si fa vedere in tutto il suo spessore, in opposizione all’approccio dell’estensione… spessore delle relazioni invisibili ma essenziali fra gli uomini e gli ambienti fisici…”. Inoltre la conoscenza dei territori che “… deve costruirsi sul duplice movimento sincronico del corpo e dello spirito“… camminare, spostarsi fisicamente nelle land per poterle conoscere. Se ne parlerà ancora.

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le nuvolette degli avatar e la serata ai Parioli

Il secondo motivo è la serata di compleanno ai Parioli diretta da Frank Koolhaas aka Mario Gerosa. Invitati a parlare erano autori dei mondi metaforici. Junikiro Jun aka Giuseppe Granieri, Bruno Echegaray, Marco Monroy aka Marco Cadioli, Isaia Carter avatar collettivo di Cristiano de Majo e Francesco Longo, Bitser Scarfiotti aka Gianluca Nicoletti.
A parte la modalità troppo “televisiva” e tutta al maschile, la serata è stata interessante perchè mostrava esempi diversi di immersione nel mondo metaforico per eccellenza, Second Life: i tre reportage presentati sono tre possibili finestre su questa seconda vita tutte condivisibili come approccio. Ma la cosa che mi interessa è questa: per conoscere SL non solo è necessario starci dentro; ci si deve camminare dentro, ci si deve muovere dentro e mettere in gioco le nostre emozioni e le nostre percezioni alla luce delle nostre conoscenze. E qui il richiamo alla geografia di Elisée Reclus è diretto.
Bitser – Nicoletti ha inoltre posto il problema della nostalgia (parola subito condivisa con Roberta Greenfield) che mi riporta alla mia domanda del post di ieri se considerare Second Life solo luogo di comunicazione o più in generale un luogo con tutti i suoi significati propri di luogo antropologico. Tra gli interventi a sorpresa dal pubblico ho apprezzato Eliver, che con competenza ha raccontato la sua esperienza di lettura collettiva del romanzo Snow Crash (l’origine dell’immaginario di Second Life).

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Hoelle, al buio, mentre racconta l’emozione di scoprire lo spazio del Castello Ursino. Hoelle è una amica non vedente.

Cosa strana cercare dei file per lavoro e cadere in una radice dimenticata da tempo e, passata di tecnologia in tecnologia, nel mio ultimo hard drive. Da almeno 10 anni con Maurizio e Fernando facciamo lavori, pensiamo e sperimentiamo progetti su temi del non visivo, cioè su tutte quelle arti che non si preoccupano di mostrarsi necessariamente con i sistemi visuali.
Lì sta anche l’origine di questi “luoghi sensibili”. La foto che si mostra in apertura l’ho scattata pressochè al buio mentre Hoelle gira per una sala del castello Ursino di Catania. Era il dicembre del 2000 e faceva caldo, a Catania. Otello e i suoi collaboratori avevano organizzato un incontro ( Al buio ) dove abbiamo sentito cose interessanti. In quei giorni ho registrato numerose persone non vedenti che, liberamente e in solitudine, descrivevano lo stesso spazio a loro non ancora noto. Ricordo sola ora di avere quei nastri pieni di racconti di spazi e di emozioni che risuonano di quegli ambienti secolari. Al tempo, avevo realizzato cartoline sonore che contenevano il racconto di questi spazi. Non c’erano gli mp3, i racconti si ascoltavano avvicinando l’orecchio al muro dove dei piccoli auricolari diffondevano le voci dei narratori. Oppure con le cuffie e il Walkman si poteva ripercorrere la traccia di parole cercando nello spazio, al buio, le stesse evidenze descritte dal “testimone oculare” narrante. La risonanza era intesa come risentirsi nelle parole e nei movimenti degli altri.