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In viaggio per Roma. Verso un un nuovo lavoro che si inaugura questa sera.
In viaggio in treno, ora, con tutto me stesso all’interno di certe idee che mi porto dentro/dietro da tempo.
Da qualche parte devo avere scritto che i corpi sono spazi: oltre alla sua natura biologica contengono “cose” disposte secondo un ordine che non è sempre deciso da noi ma più spesso deciso dalle cose stesse.
I luoghi del corpo sono sensibili all’esterno: registrano spostamenti non solo fisici ma anche su altri diversi piani: del simbolico, del significato e di altri livelli. Ma aprono anche un dialogo costante all’interno della costruzione di doppi. Come un processo di costruzione di spazi “avatar” dentro di noi che poi sentiamo il bisogno di proiettare verso l’esterno attraverso strategie di costruzione, di significazione. Rispondere allo spazio dopo che questo è entrato in noi e ci ha posto una domanda. E’ come se gli spazi sentissero il bisogno di esser definiti da chi li attraversa.

Tempo fa inaugurai – sotto la cura di Maurizio Giuffredi – un nuovo progetto di Galleria d’arte a Bologna all’interno di un luogo particolare, un laboratorio di partecipazione che per lungo tempo e ancora oggi studia modelli di lettura e modificazione del territorio, XM24. Di loro ne parlai anche qui.
L’edificio in passato era stato usato dal Mercato Ortofrutticolo di Bologna. Quel pavimento ha registrato tutti i movimenti delle persone e delle cose che gli sono avvenuti sopra: macchie di pittura, segni, abrazioni: tutto visibile. Rinnovare la funzione di questo luogo attraverso una installazione site specific era l’unica condizione per potere procedere. L’unica possibilità per fare questo era operare con una procedura che non fosse di cancellazione della storia dello spazio ma nemmeno di conservazione. Era per me necessario sottolineare quella storia nel momento stesso in cui la si stava per perdere, attraverso il tema del doppio, di una immagine specchiata costruita fisicamente che dividesse e preparasse alla perdita, una forma di lutto.

Per questa “rielaborazione del lutto” della funzione dello spazio come luogo di lavoro ho applicato la tecnica dello strappo, aiutato da un restauratore – Davide Riggiardi. Una volta strappata la patina, è stata applicata sul muro adiacente, in verticale. Lo spazio e il suo doppio – la mia “proiezione” di quello spazio – erano in scena e la galleria fu aperta.

Stasera NON un’altra storia.

Catalogo della mostra. Le foto pubblicate nel catalogo sono di Daniele Lelli

Foto dell’allestimento

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Conserving kublai, Neo Kublai – Installazione




Un mio pensiero: Second life non è in decadenza ma sta penetrando lentamente in una nuova dimensione più contemporanea alla ricerca della rappresentazione del “mondo”, dei mondi. SL e noi come avatar abbiamo raggiunto una “maturità” tale da farci percepire una distanza tra l’esperienza e un ricordo dello spazio. Si avverte fugacemente una distanza fra un senso passato e un senso attuale che alcuni potrebbero vivere come una percezione “incompleta”. Questo scarto è misurato nel tempo delle cose che suscitano in noi un sentimento dello stesso tempo. Lo stesso sentimento che si prova di fronte alle antiche vestigia, a luoghi che si sono vissuti nel passato alle cose che abbiamo appartenuto*.
Questa attitudine verso le cose e verso il tempo si rende evidente quando ci poniamo sulla soglia del rinnovamento, ad esempio.
Il re-design di una land è il momento per rinnovare e riaggiornare i “contenuti” ma è anche occasione per creare una installazione che indaga alcuni aspetti della natura del metaverso. Parlo del rinnovamento dell’isola-porto dei creativi: Kublai.
Le installazioni sono la tipologia artistica più rappresentativa della contemporaneità.
Le installazioni rappresentano con la loro temporaneità meglio di ogni altro medium l’essere e il tempo del momento. Ma non è solo un medium: è luogo di esperienze.
Neo-Kublai è un trapasso dalla rappresentazione autoreferenziale della creatività, della pittura e della scultura a una rappresentazione referenziale in situ: la creatività si localizza e diventa un intervento nel e con il mondo. Ciò che conta è la posizione e l’ubicazione e cioè l’esserci nel tempo giusto.
Una installazione sul “tempo delle cose digitali”, sul tema della conservazione del patrimonio digitale (qui si ricorda l’appello di Mario Gerosa sulla conservazione dei beni digitali all’Unesco e il testimone raccolto dal Museo del Metaverso e da Uqbar).

*Approfondimenti sul tema del “sentimento del tempo”: Marc Augé; Rovine e macerie; 2004, Bollati Boringhieri, Torino

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SI riparte, si è ripartiti.
Dal mio punto di vista la definizione “mettere in narrazione il territorio di Second Life” (titolo di Giovanni Boccia Artieri per Basilicata Travel) ha un significato a più dimensioni. Il testo siamo abituati a vederlo sempre più come una didascalia di un pensiero: bidimensionale. Il testo invece ha più dimensioni: ci si sprofonda dentro, si eleva. In sostanza non solo evoca ma costruisce spazi. Questo è quanto stiamo facendo direttamente con il Romanzo Collettivo la Torre di Asian ad esempio. Ma questo è alla base di tutto il mio lavoro in Second Life. Credo che in qualche modo, Second Life, cio che ha permesso è la definizione di una nuova calligrafia che ha delle caratteristiche molto particolari: ha una qualità tridimensionale e immersiva; si costruisce come testo, come relazioni tra elementi simbolici che individuano spazi tenuti insieme dal tempo; è inoltre capace di contenere e rendere partecipi della definizione dell’ambiente dall’interno chi vi abita e chi vi produce il proprio pensiero.
Il pensiero centrale è che non esiste uno spazio che non sia collettivo: è una condizione di sopravvivenza, è la coscienza specifica dello spazio.
Questo genere di mondi non sono un analogo di un paesaggio interiore e non sono mai riducibili a una dialettica io-mondo, soggettivo-oggettivo; comportano uno spostamento sul piano del linguaggio, della cultura intesa come sommatoria di comunità parlanti.
Il progetto del museo di Lucania Lab, il secondo livello museale, è in questi pensieri che trova la sua origine.

Second Life è per il momento l’unico strumento che mi permette di ragionare in questi termini e di sperimentare lo spazio come scrittura tridimensionale. E non solo come pura teoria ma come virtualità realizzata. Per questo lo sento ancora fresco. La relazione con gli altri Social Network rafforza questo pensiero di spazializzazione del testo.
Ma ne parlerò poi.
A Roma il 6 giugno, al convegno Ars in Ara, parlerò di queste cose e di altre (convegno ARS in ARA Second Life a cura di Marina Bellini e Paolo Valente).

Il primo dell’anno ha una sua caratteristica tutta speciale: è come se fosse sospeso nel tempo. E’ un luogo temporale dove si possono ripensare alcune cose. Così “ripenso” ad un “racconto”, una biografia associata ad una idea di luogo scritto su commissione dall’amico Piero sui temi di una topologia.

(…) Nei tempi in cui nessuna visione Tarkovskiana poteva ancora avermi influenzato il guardare e il riconoscere le cose, con i due soliti amici Stefano e Luca – in tre non facevamo i qurantanni – procedevamo nel quartiere grazie al caso suggerito facendo ruotare un sasso a forma di penna. Di caso in caso il quartiere (tra i più grandi e problematici di Bologna) è stato da noi conosciuto e ogni luogo ci riservava sorprese. Il mio quartiere al tempo era un luogo pieno di scoperte da fare: andava dal greto del fiume Reno fino al grande cantiere della nuova tangenziale urbana.

Lo stesso quartiere era anche un grande “cassetto” dove mettere le cose che non si potevano tenere in casa: brandelli di giornaletti “sporchi” recuperati nei cantieri edilizi che rappresentavano cose al tempo ancora poco chiare da capire, le 5000 lire trovate a terra che di giorno in giorno si trasformavano in ghiaccioli e liquirizie o il fasciame di legna trafugato da ciò che restava di un vicino rivenditore di semilavorati per falegnami che permise a noi di costruire numerose possibilità di divertimento.

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Credo che lì, “tra la via Emilia e il west” – di Gucciniana memoria – si sia formata la mia coscienza geografica e che quel metodo, privo di speculazioni intellettuali ma solo frutto di uno spirito ludico vero e pieno, sia responsabile di tanto mio modo di fare di oggi.
Il film Stalker di Tarkowski mi ha dato solo delle conferme: anche lì, nella zona, a guidare è lo stalker che non pensa in relazione a una conoscenza ma in relazione a un’esperienza del luogo.
Ho sempre pensato questo in relazione alle situazioni e ai luoghi. Ho sempre diffidato delle emozioni legate alla letteratura dei luoghi in favore di un’esperienza diretta.

La letteratura dei luoghi da me preferita è quella più lieve dei racconti di Robert Walser sulla passeggiata, di Peter Handke sui pomeriggi a zonzo dello scrittore medesimo: la presentazione di un’attitudine a stupirsi, già introdotta da H.D.Thoreau nel suo saggio sul Camminare.
La stessa attitudine di uno spirito lieve che si lascia corrompere dal caso è sperimentata anche nel mondo dei manga da Jiro Taniguchi in diversi suoi romanzi a fumetti.
I luoghi migliori sono sempre quelli che al momento si trovano davanti allo sguardo e che mi chiedono di essere conosciuti. Si presentano complici. Non c’è luogo che non nasconda una storia da scoprire e da vivere e infine da raccontare.

Ci sono luoghi che sedimentano dentro di noi e che vengono rivisitati come si faceva con le favole. “A mille ce n’è…” cantava la canzoncina e come una formula ipnotica ti apriva all’esperienza della favola, dove si imparava molto più di una storia: si imparava a stare al mondo. Potere delle metafore e della capacità dei bambini di assorbirle senza bisogno di spiegazioni.
Così sono i luoghi.
Spesso, sono pezzi di strada brevi, percorsi a piedi, ma all’interno della loro visione mi sento particolarmente a mio agio: la via Francesca a Sambuca Pistoiese, un tratto di 30 metri fatto di luce, pietre, frasche. Un’esperienza che si colora di viola chiaro improvvisamente. In quei trenta metri vieni ripagato di tutta la fatica per raggiungerli. L’effetto funziona sia che sia nuvoloso, sia che ci sia il sole perché comunque quel colore risuona in quel tratto e solo in quel tratto.
Come tutte le favole hanno un termine, così uscire da un luogo, da un racconto, ha bisogno di un evento come lo schiocco delle dita dell’ipnotizzatore al termine della seduta. Uscire da un luogo: non lo si può fare girandosi all’indietro ma sempre guardando avanti, come insegna il mito.
E’ come per tutte le storie: per ascoltare un luogo “… basta un po di fantasia e di bontà…”.
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