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Con questo post metto insieme alcuni pensieri che mi sono stati “risvegliati” dai post di Giovanni e di Giulia. Entrambi riportano, e ripartono, da quanto scritto da Abruzzese qui, in relazione ad un progetto “virale” che porta appunto il titolo di Mondospazzatura.
Questa è la premessa per tentare di dare una risposta a Giulia; ad un commento che mi ha postato qui.
In questo commento si chiedeva, non senza provocazione, se “…SL si riempirà mai di spazzatura?

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Wasteland region. Spazzatura in Second Life

Rispondo. Parlo tanto di Second Life per un semplice motivo: credo che tutto abbia una qualità in relazione a come lo si guarda e a cosa si cerca. Così stimo persone come Mario Gerosa o Giuseppe Granieri assieme a tutti gli altri di unAcademy, per come la vivono assieme a me: molto lontanamente dai luoghi comuni (il contrario dei luoghi sensibili che cerco di raccontare).

Allora la risposta a Giulia, che spiega anche perchè stare dentro a Second Life si lega ad un pensiero preciso: Second Life non è semplicemente un luogo della comunicazione. E’ un mondo metaforico che ha precisi legami con “questo mondo” non di sola natura comunicativa. Io ad esempio lo uso anche per costruire delle “mappe” all’interno degli argomenti che mi interessano. Sono cose di vario tipo ma che raccontano del rapporto tra noi e il mondo. Dopotutto è un problema di attribuzione di valori: lo scarto, la spazzatura è ciò che si è allontanato in conseguenza all’attribuzione di un giudizio di valore. E questo accade con le cose, con i luoghi e con la politica.

Gilles Clément nel suo Manifesto del terzo paesaggio (Quodlibet 2005) ci parla del territorio abbandonato e scartato (e delle “riserve”) e vede in questo territorio il luogo di un ripensamento territoriale complessivo: il residuale, come il “rimosso”, contiene una ricchezza che sarà importantissima per il futuro; per esempio nei luoghi abbandonati c’è una diversità biologica inesistente altrove. Al momento gli spazi residuali sono il nulla ma diventeranno certamente qualcosa. Da parlarne in seguito.

Analogamente John Scanlan, con il suo bellissimo volume Spazzatura (Donzelli editore, 2005), ci aiuta a guardare i cumuli di spazzatura (le cose scartate) per farci riconoscere in quelli qualcosa di noi stessi. La spazzatura, come i territori abbandonati (il wasteland), è prima di tutto metafora di come viviamo. Riconoscerci dentro anche una ricchezza dipende solo da noi: come per second life è un problema di come si guarda. Lei, la monnezza nel frattemo ci parla, ma, forse, non la sappiamo ascoltare. esisterà uno un superIO capace di legger dentro questo inconscio?

A volerla cercare la “monnezza” si trova anche in SL, ma il semplice fatto di averla “disegnata”, rappresentata, avrà certamente un significato diverso da quello di scarto.

Il mondo senza la mappa è un interessantissimo volume di Federico Ferretti. Espone il pensiero di un geografo (e dell’ambiente geografico anarchico intorno a lui) che gìà mi è capitato di citare: Elisée Reclus.
Il libro in questione, infatti, tratta di una geografia anarchica che in tutto il corso dell’ottocento va delinenadosi a fianco della geografia più accademica. Se si leggono gli scritti di Reclus si scopre come il suo modo di leggere il mondo è molto attuale: parla di “rete, movimento, metissage, geografia sociale, globalità e unità del mondo, comparativismo, spessore del mondo, educazione, giustizia”. Questo riporta il libro di Ferretti.

Ho preso in mano questo libro oggi per due motivi: il primo è il post di ieri che parlava della geografia in SL. L’assenza di un Globo e quindi di una misura di unità è già cosa in qualche modo “anarchica”. In analogia con il pensiero di Reclus “…questo mondo senza carte è un mondo che si fa vedere in tutto il suo spessore, in opposizione all’approccio dell’estensione… spessore delle relazioni invisibili ma essenziali fra gli uomini e gli ambienti fisici…”. Inoltre la conoscenza dei territori che “… deve costruirsi sul duplice movimento sincronico del corpo e dello spirito“… camminare, spostarsi fisicamente nelle land per poterle conoscere. Se ne parlerà ancora.

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le nuvolette degli avatar e la serata ai Parioli

Il secondo motivo è la serata di compleanno ai Parioli diretta da Frank Koolhaas aka Mario Gerosa. Invitati a parlare erano autori dei mondi metaforici. Junikiro Jun aka Giuseppe Granieri, Bruno Echegaray, Marco Monroy aka Marco Cadioli, Isaia Carter avatar collettivo di Cristiano de Majo e Francesco Longo, Bitser Scarfiotti aka Gianluca Nicoletti.
A parte la modalità troppo “televisiva” e tutta al maschile, la serata è stata interessante perchè mostrava esempi diversi di immersione nel mondo metaforico per eccellenza, Second Life: i tre reportage presentati sono tre possibili finestre su questa seconda vita tutte condivisibili come approccio. Ma la cosa che mi interessa è questa: per conoscere SL non solo è necessario starci dentro; ci si deve camminare dentro, ci si deve muovere dentro e mettere in gioco le nostre emozioni e le nostre percezioni alla luce delle nostre conoscenze. E qui il richiamo alla geografia di Elisée Reclus è diretto.
Bitser – Nicoletti ha inoltre posto il problema della nostalgia (parola subito condivisa con Roberta Greenfield) che mi riporta alla mia domanda del post di ieri se considerare Second Life solo luogo di comunicazione o più in generale un luogo con tutti i suoi significati propri di luogo antropologico. Tra gli interventi a sorpresa dal pubblico ho apprezzato Eliver, che con competenza ha raccontato la sua esperienza di lettura collettiva del romanzo Snow Crash (l’origine dell’immaginario di Second Life).

Oggi Laura inizia il suo corso sul viaggio. Un pensiero a lei.
A tal proposito mi viene da chiedermi se esisterà mai un mal di Second Life analogo al mal d’Africa. Si formeranno delle forme di “nostalgia” verso i mondi virtuali che non siano solo frutto di vertigine compulsiva ma una vera nostalgia per quel determinato luogo, nel senso di luogo antropologico? I luoghi sono importanti, sensibili, loro e rendono sensibili noi. I luoghi contano, ma sempre in quanto luoghi abitati, fatti dal flusso continuo degli uomini, dai gesti. Specie se sono luoghi virtuali. È l’umano che mi interessa. Sebbene gli incontri non siano sempre piacevoli, possono essere anche ostici, metterti in posizione difficile, creare shock culturali. Girando per le land si incontra gente di ogni parte del mondo.

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World Map di Second Life

Ma sono poi così differenti i luoghi che si incrociano? Anche Second Life, non è luogo globalizzato? (In fin dei conti ci è nato dentro).
Il pensiero centrale è come devono e possono presentarsi (rappresentarsi e promuoversi) i territori reali al suo interno. E’ un problema legato alla nuova dimensione geografica (la neogeografia) che ormai essendosi spostata sul tema dei contenuti non solo si è virtualizzata ma ha messo indiscussione il valore geometrico sostituendolo con il discorso georefenziale.
A proposito di modelli geometrici per raccontare la geografia, e guardare la mappa che mostra il mondo Linden: il mondo in SL è piatto. Second Life non è Second World. Non è una palla. Non è una Seconda palla. (Ma non è nemmeno la Flatlandia di Abbot). Assomiglia al mondo per-colombiano.
Saranno finiti i bordi o crescerà senza limiti come le città Sim? Ho navigato talvolta senza l’uso del Search, solo in punta di mouse e “clic” sulla Map.

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World Map di Second Life

Ma non ho ancora sperimentato i bordi. Solo l’inland di Second Life. Come capita nel mondo reale, alcuni non ti danno il permesso di ingresso, la Visa. Altre volte ti invitano ad uscire entro 15 secondi.
Non ha alcuna relazione geometrico spaziale con il mondo reale, ma ne imita alcune forme di governo e di aspetto. Alla lontana mi ricorda un poco l’isola su Solaris, di Tarkovskijana memoria.

Il film era un incrocio di pensieri sulla scienza e sulla natura dell’uomo che si esprime con la capacità creativa (artistica e non solo). Nel film rivendica il valore dell’arte contro la fede assoluta della scienza: attraverso la crazione artistica l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Mi sembra che come definizione finale possa essere perfetta: sono gli abitanti, con i loro progetti a dar forma ai contenuti delle Land. A fare materializzare il loro proprio pensiero in SL. Dopotutto ogni avatar si porta dietro comunque un pezzo del suo proprio mondo e tende a manifestarlo intorno a se dando forma ai desideri.

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Andrei Tarkovskij, Solaris, Mosfilm (1972)

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Asian e un suo drago in Second Life

“Immaginiamo che gli animali della mitologia siano i fossili di una fauna attuale” diceva Alberto Grifi, “e immaginiamo che gli animali della fantasia che i mezzi di comunicazione hanno creato, fino a quelli degli incubi più spaventosi, vengono da questo lontano passato culturale e si giocano oggi dentro a questo nostro ambiente culturale“.

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Alien, scultura di H.R. Giger

Sempre Alberto Grifi, in una sua trasmissione radiofonica per la rai, riproposta da poco in Podcast su Radio3, propone un esempio noto a tutti: Alien non è solo il progetto di un mostro per il cinema ma il progetto di un animale da incubo. Carlo Rambaldi, Hans Rudi Giger, e tanti altri che hanno lavorato a questo progetto, hanno costruito un perfetto personaggio da mitologia contemporanea che ha le sue origine in quella fauna fossile antica che con il medioevo assume carattere negativo. Ad esempio la sua coda di drago. Ma di quale drago? Non la coda dei più antichi draghi (innoqui lombriconi con le ali di uccello raffiguranti simbolicamente una natura buona), ma i draghi che dal medioevo, da quando cioè la natura viene vista come nemica, popolano le nostre peggiori fantasie notturne. I draghi da quel momento prendono le ali della notte, quelle dei pippistrelli come Belzebù. Lucifero cadendo verso gli inferi subisce lo stesso destino: le ali d’angelo si tramutano in ali da pippistrello.
Come dicevo: è il progetto di un incubo. Per chi lo ha compiuto, si è liberato dei suoi incubi o quanto meno li ha affrontati. Dopotutto il cinema horror costruisce dei riti collettivi di esorcismo.

Una domanda che mi ponevo in principio, entrando in second life, era: perchè una persona si fa un avatar travestito da “morte” con tanto di falce? Fa impressione. A livello simbolico, è sciocco non ammetterlo, impressiona: anche se è un avatar ti genera una reazione quantomeno di diffidenza. Non capivo per chi lo faceva: per sè o per gli altri, come provocazione o cosa? Per chi lo indossa è un esorcismo dopotutto: mi travesto delle mie paure per esorcizzarle.

Chiunque può travestirsi da qualsiasi cosa, anche delle proprie paure. Lo sguardo dall’interno e contemporameamente dall’esterno è una transe che in psicologia ha un significato preciso ed è legato allo stato modificato di coscienza (Georges Lapassade, Stati modificati di coscienza):

“L’unità della transe dovrebbe essere ricercata proprio in questa relazione sconcertante, in questa sorta di connivenza mediante la quale il soggetto che cambia e si vede cambiare, sembra osservare questo cambiamento da un punto che resta fisso, vigile, attaccato alla terra ferma, mentre un’altra parte di se stesso (ma non un altro io) gioca a lasciarsi andare sregolatamente”. (Nota: i grasseti sono miei)

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Asian e un suo drago in Second Life

In sostanza Second Life ha una dimensione sciamanica. Come il tarantismo.

Questo credo lo abbiano provato tutti gli avatar. Che sia una “sregolatezza” legata alle paure, legata alle pulsioni (sessuali o di altro tipo) o di semplice “contatto” con gli altri (i timidi), in second life, attraverso la pantomima, si superano barriere spesso insormontabili.

Ma qui il digitale ha inventato poco in quanto non ha fatto altro che riprendere una parola dall’induismo: avatar. E proprio in quella religione che il dio stesso (o uno dei suoi aspetti) si incarna in un corpo fisico. Avatar o Avatara (in sanscrito “colui che discende”) incarna la nostra parte spirituale (con tutti i suoi valori) in una dimensione che troppi definiscono irreale ma che preferisco la definizione “virtuale” nel senso di “in potenza”.
Anche il tarantismo assolve lo stesso ruolo: esorcizzare. Vedremo poi, in un altro post.

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Tarantola e tarantismo, illustrazione da Antonio Fasiello Cronaca della taranta, Marcarella editore

Per concludere questo post con un esorcismo: ho sognato animali fantastici, draghi, mostri e fiere per un anno intero. Mi inseguivano, attaccavano, minacciavano… svegliavano. Ci voleva una psicomagia, mi avrebbe detto Jodorowsky, per risolvere il mio problema onirico (che ne celava altri). L’ho fatta, due volte: la varicella mi ha trasformato in un mostro squamato e ora, di animali fantastici, ne possiedo una decina e li cavalco. Da una settimana non li ho più sognati.

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Asian e un suo drago in Second Life

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Interno di Virtual Hallucinations

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Interno di Virtual Hallucinations

Cercando nelle Land qualche relazione con la malattia mentale, ho trovato questo luogo interessante: Virtual Hallucinations. E’ un progetto finanzianto e voluto dalla Universty of California (UC Davis – Health System) e diretto dal Dr Nash Baldwin (sl-name) aka Dr James Cook (rl-name).

In questa clinica virtuale ci viene proposto di provare l’esperienza delle allucinazioni che normalmente vengono vissute dagli schizofrenici: la percezione deforme dell’ambiente intorno a loro, nella fattispecie il sentire voci e le distorsioni visive (vedere immagini strutturate come persone, cose). Non è un posto certamente glamour ma, dopotutto, non lo è nemmeno la schizofrenia.
La schizofrenia è un disturbo psicotico della mente: chi ne soffre diventa indifferente a ciò che accade intorno a lui, reagisce in modo assurdo o incoerente agli eventi esterni, perde il contatto con la realtà isolandosi in un mondo suo proprio. Ha caratteristica destrutturante della personalità, e va a compromettere tutti gli aspetti della vita del soggetto, sconvolgendo profondamente la rete delle relazioni.

E’ un invito all’immersione in questo caso non solo in second life: nelle false esperienze sensoriali.

Quando passa attraverso le nostre labbra il Tao è limpido e senza sapore
LAO ZI

Il Tao dell’uomo retto è insapore ma non stanca.
ZHONG YONG

Passare un’ora a parlare di amici immaginari, bevendo Champagne e fumando Avana con Liu, Monica e Deneb.

Mi ricordo un libro bellissimo: Elogio dell’insapore di Francoise Jullien. Parla del cibo, dell’insapore e della Cina, in una chiave particolare. Ripensandoci ci sono dei discorsi dentro quelle pagine, che possono essere riletti per SL; ci sono delle chiavi di lettura che possono fare un poco di luce su tanta seduzione in cose assurde come fare “aperitivi” o comunque gironzolare lì dentro.
Parafrasandolo per Second Life: il paesaggio del paradosso.
Andare incontro all’insipidezza, e all’insapore per raggiungere un centro che si mostra sensibile, l’ipotesi. Attraverso la condivisione di una esperienza (con gli altri avatar) attraverso il suono, la visione e i discorsi questo paesaggio dell’insapore diventa esperienza sensibile. E’ la dimensione immersiva che fa cambiare di segno l”insapore” di questa esperienza. Per chi non conosce come funzionano le pose non sarà immediato capire quanto dico ora: bere a ripetizione bicchieri di champagne, reiterare il gesto è il segno di una ripetizione che insiste su una debolezza del sapore, sulla sua mancanza. Ma questa reiterazione ha la capacità di creare una situazione sensibile per chi la vive in quel momento attraverso il proprio avatar. E’ un piccolo gesto, ripetuto, che contiene in se tutte le qualità del gesto reale. Una prova: avete mai animato l’avatar di qualcun altro? Non è la stessa cosa che muovere il proprio. Allora qualcosa accade dentro la nostra sensibilità, dopotutto. L’esperienza dell’insapore, della reiterazione di gesti sciapi, tende a portarci al centro del nostro avatar.


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autoritratto collettivo: Io e Asian, real life e second life © Fabio Fornasari

Le mie orecchie ultimamente risuonano di parole come social network, nella versione italiana reti sociali, social bookmark, ecc… E la fotografia sociale?
Stasera in unAcademy ho “appeso al muro” il mio ritratto da avatar che già ho pubblicato (ormai una vera fototessera del mio avatar), qui e qui. Non sono stato l’unico:
Velas, Monica, Juni, Deneb, Eliver, Night, Clarita, Sunrise, Joannes, Liu, e altri ancora arriveranno… siamo lì appesi con le nostre “fototessere”.
Un tempo portavano il nome di “fotografia concerned o sociale“: “Fra i servigi utili che rende il ritratto fotografico bisogna annoverare quello sovrano per la facile identificazione delle persone. In questa parte si può dire sia pervenuto ad una necessità sociale,…” ( da: Carlo Brogi, Il ritratto in fotografia, Firenze 1846)

Citazione colta da un Libro che viene da un tempo non troppo digitale: Storia sociale della fotografia di Ando Gilardi, Bruno Mondadori, 2000

P.S: quale sarà il ritratto collettivo di unAcademy?

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Steefano, Monica, Asian, Junikiro, Clarita, Velas e Deneb. Alcuni degli avatar “appesi”.
Sotto: in primo piano Joannes a fianco Eliver, Sunrise, Fabius, Giovy e gli altri.

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Second life; Land Kabuki, Anaglifo © Fabio Fornasari

Un’idea vecchia in un’idea nuova.
La foto qui sopra, apparentemente mossa, è in realtà un anaglifo. Cos’è un anaglifo? Una immagine che, se vista con i giusti occhiali, mette in rilievo ciò che vedete; in altre parola vi da la sensazione dei volumi delle cose.
Ma la cosa più curiosa, forse, è questa: è una immagine anaglifica prodotta in second life, nella land Kabuki. Second life è un mondo ai nostri occhi “virtualmente” tridimensionale, vissuto visivamente come sequenza di immagini che in realtà sono bidimensionali. In altre parole, di questo mondo, abbiamo sempre e solo immagini bidimensionali, a differenza dell’immagine sopra che ci mostra le cose come occupano lo spazio e ci pone in relazione allo spazio. Le immagini tridimensionali fanno appunto questo: ci portano dentro le imagini e costruiscono illusioni di realtà. Una parola a me cara, immersione, è resa ancora più densa di significato se la nostra visione diventa volumetrica, tridimensionale.
Nasce tutto da una complicità tra una fisiologia e una tecnologia della visione.
La visione naturale, se non disturbata, è la sintesi operata dal meccanismo della percezione visiva che si compie sommando la doppia visione oculare: abbiamo due occhi e quindi due cineprese che lavorano in contemporanea. Il montaggio della visione lo opera il cervello delegandone il compito ad almeno tre delle sue regioni. Ognuna di queste aree compie diverse operazioni di controllo e di elaborazione dell’immagine che la retina ha registrato e trasmesso al cervello.
La foto tridimensionale è il trucco del mago che “frega l’occhio” (il tromp l’oeil: la visione “costruita” per antonomasia). Mai come in questo caso il toccar con mano svelerebbe il trucco, l’illusione.
L’avatar questo meccanismo non lo possiede.
L’avatar che gira gli spazi delle land ha invece, come in tutti i media visuali, una visione monoculare: in altre parole è come un polifemo tecnologico, digitale; l’avatar non ha capacità di riconoscere la profondità della visione se non basandosi su una nostra esperienza visiva legata alla forma simbolica della prospettiva (e ad altre cose ancora).
Questa visione stereoscopica, anaglifica è un ulteriore modo di prendere coscienza degli spazi virtuali, rendendoli appunto spazi e non solo coordinate x,y,z matematiche prodotte da algoritmi e tradotte in immagini bidimensionali.
In questo modo second life è anche un modo diverso per apprendere alcuni semplici prindipi della visione e della comprensione delle cose immerse nello spazio (la vecchia cara geometria descrittiva tanto odiata all’università ma risultata molto utile poi, anche nella modellazione solida in cad).

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Second life; Land Kabuki, Anaglifo © Fabio Fornasari

Per vedere le immagini anaglifiche serve mettere un filtro verde sull’occhio destro e un filtro rosso sull’occhio sinistro. Se disponete di questi elementi o degli occhialini 3D allora vi sarà tutto chiaro.

Dopotutto “vedere” non è cosa semplice.
Seguono altre immagini da me prodotte in Second Life che permettono a loro volta una visione stereoscopica. Questa volta non servono gli occhialini ma un’altro oggetto per la visione, lo stereoscopio, composto da due lenti d’ingrandimento accoppiate. E’ lo stesso principio del Viewmaster.

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Una visione di Midian City. Immagine stereoscopica © Fabio Fornasari

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Come sopra: land Kabuki. Immagine stereoscopica © Fabio Fornasari

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Altra visione della land Kabuki. Immagine stereoscopica © Fabio Fornasari

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Romantic Ice Palace. Immagine stereoscopica © Fabio Fornasari

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Buona visione a tutti!

Ieri ho letto il post di Giuseppe dove parlava dei nuovi motori per visualizzare gli ambienti di second life. Viaggiando tra Bologna e Milano sui treni (la dura vita del pendolare), si conoscono vari personaggi; tra questi ho conosciuto diversi programmatori che si guadagnano il pane a Milano. Uno di loro mi ha parlato tempo fa di questi nuovi motori e così li ho provati. Windlight, uno dei nuovi motori, offre, una visione cosmetica di second life: più realistica (più simile al mondo del paesaggismo domenicale che al mondo reale), ma la cosa che mi impressionò di più fu la pelle dell’avatar. Se la componente paesaggio ci guadagna nella visualizzazione del cielo e dell’acqua, nelle architetture ci perde. La pelle dell’avatar, si mostra porosa e assorbe la luce quasi come quella vera. Azzardo (ma lo dico) che evoca quasi un piacere tattile, nel guardarla. Se fate il confronto con la pelle tradizionale di second life notate la differenza. Quella “nuova”, si mostra come se fosse incipriata. Queste immagini sono (forse) più che illusioni di realtà, delle vere e proprie allusioni della realtà. Ricorda davvero una operazione di cosmesi del virtuale.

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Il viso di Velas visualizzato con Windlight.
Sotto, altre immagini di paesaggio realizzate con lo stesso motore di visualizzazione.

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Giuseppe Granieri mi ha segnalato un blog interessante, dove si presenta il lavoro di Michael Ditullio, un blogger che sta facendo progetti su una transArchitectural Topography e cioè sulla costruzioni di un sistema di comunicazione tra la real life e la second life. Nei suoi progetti e demotape si vedono situazioni di interazione tra le due life. Nel suo blog ci sono diversi collegamenti a presentazioni e a video. Il lavoro diventa interessante nel momento in cui non resta un fatto puramente visuale ma lavora sulle identità all’interno delle due situazioni.

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The Gate, vernissage

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The Gate, azione e interazione

In sostanza lavora sul paradosso dell’identità e per questo motivo mi tornano in mente i lavori di Dan Graham che usava le nuove tecnologie del tempo, le video camere, unite alla riflessione e alla trasparenza per parlarci dell’identità dell’osservatore e dell’osservato in relazione al desiderio e alla trasparenza. Oggi questa trasparenza è digitale e l’osservatore e l’osservato non siamo solo noi e la nostra immagine riflessa. Non siamo nemmeno solo noi e l’altro dal lato opposto della trasparenza del vetro: chi ci guarda. Una nostra immagine “riflessa” è l’avatar (l’avatar riflette la nostra parte desiderante, si costruisce come desiderio in azione ed è sempre alla ricerca di soddisfarlo). Fermo restando che l’arte è per sua natura sempre interattiva in quanto non può prescindere da una relazione che si stabilisce tra artista opera e spettatore.
Morale: La frontiera tra reale e virtuale è una nuova “trasparenza”, tutta da scoprire.

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Dan Graham, Present Continuous Past(s), 1974 sketch | © Dan Graham