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La prima serata con Paolo Nori alle “Collezioni mai viste” non poteva non essere interessante. Saggi del suo modo di costruire il pensiero e di raccontarlo attraverso la lettura li si possono incontrare sul podcast di Radio feltrinelli (per tacer delle numerose uscite in libreria).
Come promesso, parlando di John Cage, di Malevic, di Gaspare (suo nonno) e di tanti altri, Paolo Nori ha costruito un discorso senza cadute che l’ha portato a chiudere dicendo che elemento non-visivo del museo è l’aura che si costruisce intorno all’idea stessa di museo. Passaggio fondamentale nella costruzione del suo discorso è stata la lettura di un passo da Viktor Sklovskij sul tema dello straniamento il quale ci ricorda che “per risuscitare la nostra percezione della vita, per rendere sensibili le cose, per fare della pietra una pietra, esiste ciò che noi chiamiamo arte. Il fine dell’arte è di darci una sensazione della cosa, una sensazione che deve essere visione e non solo sensazione.” (da Una teoria della prosa, Ed. Garzanti) Lo straniamento funziona nel presentare le cose abituali in un modo differente: il linguaggio poetico e il linguaggio artistico hanno la comune peculiarità di liberare l’immagine dalla percezione consueta, rompendo gli automatismi del linguaggio e alterando la presentazione dei materiali che ne compongono il prodotto finale. Lo straniamento è una procedura artistica tra le più importanti perchè produce una nuova visione dell’oggetto. Nori, attraverso questo suo modo di costruire il percorso narrativo, ha messo in pratica lo straniamento , ricostruendo intorno a noi il valore auratico del museo. L’aura che si respira nei musei è componente fondamentale dell’esperienza estetica e può rispondere a questa domanda per niente semplice: perchè i ciechi dovrebbero andare in un museo d’arte?
Una concessione personale: questo suo discorso mi ha ricordato la mia prima lezione da studente all’università di Firenze (1985): Luis Prieto semiologo. In quella Prieto parlava dell’opera “non-auratica” e di Benjamin (citato dallo stesso Nori): se esistesse una macchina capace di riprodurre tecnicamente un’opera in tutte le sue componenti materiali, ciò che potrebbe distinguere la copia dall’originale sarebbe solo una cosa immateriale, l’aura; una cosa non visibile o riconoscibile alla vista ma solo in una dimensione concettuale. In qualche modo, quella lezione, mi ha fatto conoscere il pensiero di Benjamin all’interno dell’aura stessa di Prieto (un pilastro della Semiologia) e anche successivamente non posso non pensare a quel pomeriggio ogniqualvolta sento le parole Aura, Benjamin e Prieto.

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C’è un aspetto di Rinascimento virtuale difficile da cogliere se si osservano le fotografie su flickr. E’ però nelle parole e negli scritti di Mario: la dimensione sociale dell’arte prodotta in SL. In fondo questa mostra (a fianco dei suoi testi) è il primo fondamentale passo per una storia sociale di Second Life.
A chiusura dell’articolo metto la tenda-comunicativa esposta nella mostra per fornire i primi strumenti di lettura, le chiavi per capirne meglio i contenuti. Un oggetto che fa parte di una serie completa che nessuna fotografia da sola può trasmettere: la tenda con il testo introduttivo di Mario. Tutta la mostra è pensata come una estensione concettuale della rete: la comunicazione non è avvenuta su pannelli museografico, su pannelli didattici, ma è il corpo stesso della mostra. Abbiamo usato la stessa modalità del “mondo” di comunicare attraverso l’ambiente e non attraverso le targhette… ma chi non l’ha ancora vista non può coglierne i valori di novità. E’ una mostra che non può essere giudicata dalle sue fotografie. Come Second Life deve essere vista dall’interno.
Non è una mostra che promuove singoli artisti ma un evento che sta dentro ad una grande narrazione collettiva che è nata in un luogo preciso: Second Life. E’ questa la prima chiave di lettura che differenzia questa iniziativa da qualsiasi altra.
E’ la risposta ad una sfida difficile ed offre un appoggio a tutti i residenti che si sentono parte di una nuova collettività condividendone le basi. Non è la soluzione al problema di lanciare nuovi artisti, individualmente riconosciuti, ma la presentazione di un lavoro che nato in un luogo specifico (di nicchia ricordiamocelo) tenta di farlo diventare universale (rompere la nicchia, dilatarla, allargarla al mondo reale). Trasporre nel reale le cose di second life, come già detto, è paragonabile al Jet-Lag. Tutto cambia. Lo statuto delle cose. Ciò che resta è la dimensione di “mondo”, la dimensione universale della ricerca. L’appartenere ad una idea comune declinata in modo diverso. L’arte dopotutto è sempre stato questo, la costruzione di valori condivisi.

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LA BATTAGLIA TRA CULTURA ALTA E CULTURA BASSA E’ FINITA

NOI SIAMO I PRIMITIVI DI UNA CULTURA ANCORA SCONOSCIUTA

 

 

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Non sono i primi “occhi” che disegno e pubblico. Mi piace disegnarli con tutte le tecniche… ne sono una vittima.
“L’impressione ottica rimane la via attraverso la quale più spesso è risvegliato l’eccitamento libidico. […] La zona forse più lontana dall’oggetto sessuale, l’occhio, si trova – nelle condizioni del corteggiamento dell’oggetto – più spesso di tutte le altre nella situazione di essere stimolata da quella particolarità dell’eccitamento proveniente da ciò che, nel caso dell’oggetto sessuale, noi chiamiamo bellezza”.

S. Freud; Tre saggi sulla teoria sessuale, in: Opere; Bollati Boringhieri, Torino 1970

Progetto per Post Utopia

Per chi ha letto George Perec o Foucault parole come archivio, dispositivo hanno un significato denso e pieno. Se poi si associa la parola follia la cosa diventa ancora più complessa.

Semplificando: Second Life (per come nasce) è uno spazio dove la parola archeologia non ha alcun significato in quanto non ci sono ancora tracce, sedimentazioni, depositi da interpretare. Per il momento almeno. In una sorta di archeologia a rovescio, dove cioè non essendoci nulla si devono depositare segni tracce e contenuti, Second Life diventa per noi il luogo dove portare e organizzre una conoscenza su un tema importante, spinoso, di frontiera: l’Outsider Art. Uso il termine anglosassone per allontanare le mille possibili varianti di significato all’interno di questo universo (specialmente nel contesto italiano).
Di cosa stiamo parlando?
Operativamente: stiamo – Ginevra Lancaster, Maurizio Giuffredi e io – lavorando per aprire a Post Utopia, venerdi’ 23 maggio, uno spazio espositivo dedicato all’outsider art, in concomitanza con il Festival della Psicologia che si terrà a Bologna dal 23 al 25 e che tratterà anche questo tema.
L’outsider art è “arte” prodotta da persone socialmente emarginate. Tipicamente si tratta di pazienti psichiatrici, per i quali l’arte rappresenta un canale preferenziale di espressione e comunicazione. Viene anche chiamata in 1000 altri modi: arte irregolare, art brut, visionary art, raw art, ecc…
All’estero sono, tanto per cambiare, parecchio più avanti di noi: musei dedicati, gallerie che vendono le opere anche online, e spesso si tratta di progetti no-profit, o comunque collegati a istituzioni.
Ma anche in Italia qualcosa si sta muovendo.
Quel che vogliamo fare è creare a PU un hub di informazione sul tema, che sia pero’ anche uno “spazio di esperienza”.
Un tassello in più per riempire e organizzare i contenuti all’interno dello spazio sintetico (SL) in forma di archivio tridimensionale, dove la conoscienza concettuale si accompagna sempre ad una esperienza emozionale. Organizzare contenuti, archiviare dati ma anche fornire uno strumento di conoscenza.

SOTTO LA PELLE DELL’AVATAR? NIENTE? … SICURI?

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Pelle trasparente di un modello medico

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Inside information 001: autoritratto come Asian

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Inside informatio 002: Joannes Bedrosian (sperando non me ne voglia)

Per poter dare una risposta corretta alla domanda d’apertura credo che innazitutto ci si debba immergere coscientemente dentro i mondi metaforici. Non “guardarci dentro” ma dal di dentro. (il metodo immersivo).

La conoscenza di noi stessi, della nostra immagine corporea coincide con la conoscenza dei confini del nostro corpo. La pelle è la prima frontiera che conosciamo fin dalla nascita.Ogni essere vivente, ogni organo, ogni cellula ha una pelle o una scorza, tunica, involucro, carapace, membrana, meninge, armatura, paratia, pellicola, pleura…

Nel corpo umano, la pelle è più che un organo, è un insieme di organi diversi. Non è solo organo di senso ma svolge funzione biologiche, metaboliche.La pelle di ogni animale, compreso l’uomo, è un involucro che contiene cose. Si dilata e si contrare (si riempe e si svuota) continuamente in quanto respiriamo.La pelle dell’avatar apparentemente non contiene nulla. Come si vede nella foto qui sopra la posso penetrare senza avere bisogno di ferri. Scopro che è vuota di cose materiali (in apparenza), contrariamente a quanto accade per il corpo umano del quale mostro un modello qui sotto.

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Modello medico di corpo umano in resina

RISPOSTA:Per lo psicanalista che io non sono, la pelle ha una importanza capitale: essa fornisce all’apparato psichico le rappresentazioni costitutive dell’Io e delle sue principali funzioni.
Prendo da Didier Anzieu (dal suo volume L’Io-pelle – Edizioni Borla, 1995) un piccolo schema semplice per capire che la pelle ha una funzione che va oltre il dato biologico e che anzi assume un forte valore in relazione alla nostra più profonda persona: all’Io-pelle, la superficie psichica con funzione di intersensorialità che aderisce alla pelle stessa, assegna “tre funzioni: una funzione di involucro, contenitore e unificante del Sé, una funzione di barriera protettiva della vita psichica, una funzione di filtro degli scambi e di iscrizione delle prime tracce, funzione che rende possibile la rappresentazione. A queste tre funzioni corrispondono tre raffigurazioni: il sacco, lo schermo, il setaccio”. (pag 123)

In altre parole quella cosa lì, quel sacco che contiene un vuoto digitale in realtà è qualcosa di noi, e ha le stesse funzioni della nostra pelle nel momento in cui diventa la nostra pelle vicaria (non virtuale).Anche la pelle dell’avatar (l’io-pelle – Didier Anzieu) è una superficie psichica con funzione di intersensorialità.
Come per la pelle del nostro corpo, che assolve una funzione di sostegno dello scheletro e dei muscoli, cosi la pelle dell’avatar adempie ad una conservazione della vita nostra stessa psichica negli ambienti metaforici.

P.S: Altro contribuo al corpo come tema condiviso con Laura.

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Interno di Virtual Hallucinations

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Interno di Virtual Hallucinations

Cercando nelle Land qualche relazione con la malattia mentale, ho trovato questo luogo interessante: Virtual Hallucinations. E’ un progetto finanzianto e voluto dalla Universty of California (UC Davis – Health System) e diretto dal Dr Nash Baldwin (sl-name) aka Dr James Cook (rl-name).

In questa clinica virtuale ci viene proposto di provare l’esperienza delle allucinazioni che normalmente vengono vissute dagli schizofrenici: la percezione deforme dell’ambiente intorno a loro, nella fattispecie il sentire voci e le distorsioni visive (vedere immagini strutturate come persone, cose). Non è un posto certamente glamour ma, dopotutto, non lo è nemmeno la schizofrenia.
La schizofrenia è un disturbo psicotico della mente: chi ne soffre diventa indifferente a ciò che accade intorno a lui, reagisce in modo assurdo o incoerente agli eventi esterni, perde il contatto con la realtà isolandosi in un mondo suo proprio. Ha caratteristica destrutturante della personalità, e va a compromettere tutti gli aspetti della vita del soggetto, sconvolgendo profondamente la rete delle relazioni.

E’ un invito all’immersione in questo caso non solo in second life: nelle false esperienze sensoriali.