Da un invito di Roberta Greenfield rilancio a: Roberta
Albamarina, Thomas, Laura e Ginevra
“Una tenera lentezza è il
ritmo di questi discorsi”
Friedrich Nietzsche, Ecce Homo
Sebbene non si fosse verificato nulla di particolare, il viaggio per Spoleto è stato entusiasmante. Se nel nulla di particolare non ci fossero la Berliner Ensemble, Bertolt Brecht, Bob Wilson, Laura e Roberta e ancora Giovanni e Annagrazia.
Non ho mai amato etichettare i tipi di viaggio: turista, viaggiatore, globe trotter… Al mondo si ruzzola e così facendo si incontra sempre qualcosa che ti sorprende. Lo scrive Walser nella sua “passeggiata”, o in un “pomeriggio di uno scrittore” Peter Handke. Nel 900 il viaggio mitico si sposta dai grandi paesi lontani al cortile di casa (penso ai discorsi di Luigi Ghirri degli anni 80).
In fin dei conti per me viaggiare è usare lo sguardo. Da tempo, il viaggio mitico, si è spostato nella rete e dalla rete è rimbalzato sul pianeta costruendo un nuovo modo di rappresentarlo con gli strumenti della Neo-Geography (che pongono i Tag al di sopra della referenza geografica fisica che li legittimano).
Così nel Ning di Lucania Lab ho aperto una pagina
dove spiego l’idea di una “moleskine” che raccoglie appunti di viaggio visivi del “travelling in second life”, come normalmente si fa “ruzzolando” sulla pelle del pianeta.
Morale: viaggiare è un’esperienza frattale, per quanto restringi il campo o lo allarghi hai sempre da scoprire qualcosa di nuovo. Quello che conta è la curiosità.
Progetto di copertina per il volume di Laura Gemini
E’ uscito il libro di Laura Gemini: “In viaggio”, per la Franco Angeli.
E con il suo libro è uscita la mia copertina per lo stesso libro: un viaggio tra le cose di Laura, appoggiate sulla scrivania. Dalla musica dei New Order (Blue Monday) alle immagini da Second Life; qua e là, qualche cosa di mio.
Le parole sul viaggio quotidiano.
«Lungo tutto il viaggio in auto che dalla Russia ci conduce agli estremi confini dell’Europa occidentale, cerco negli occhi di coloro che incontro qualcosa che riveli gioia, felicità e consolazione. Ma in realtà trovo quel che sto cercando soltanto in due antichi dipinti… »
Aleksandr Sokurov, Elegia del viaggio, Elegia dorogi.
Il viaggio è il tema. Non voglio distinguere tra viaggio, turismo o pendolarismo. Ogni partenza, anche per il viaggio più breve, lascia delle incognite. Ci sono viaggi quotidiani, che ti portano da un luogo (la casa) ad un altro luogo (il luogo del lavoro). Non è solo “essere pendolare”, in ogni “viaggio” si nascondono possibilità di ogni tipo. Cosa sarebbe se… (What if…).
Ho fatto il post precedente nella forma poetica del photobook di viaggio, dove si registrano pensieri per immagini.
Ma perchè presentarlo come un photobook, un oggetto che parla la lingua dell’arte?
Il prima ed il dopo possono fare la loro conoscenza e scambiarsi uno sguardo all’interno dell’arte. Le immagini, anche del più semplice tragitto Bologna Milano in Eurostar, ci possono offrire istanti di soave bellezza, ci possono condurre per mano fra paesaggi umidi, case desolate e rendono definitivamente vivo, vicino, “tastabile” con gli occhi tutto ciò che rapiscono, catturano. Forse il viaggio quasi quotidiano può presentarsi come un meta-viaggio, può essere letto come un pensiero sul viaggio stesso perchè ne contiene alcune premesse.
Parafrasando Italo Calvino, pensando a “Se una notte d’inverno un viaggiatore…” (esempio di altissimo livello di meta-romanzo), il viaggio del pendolare è l’inizio di tanti viaggi dove quel “Cosa se…”resta sospeso con i puntini di domanda, incapaci di andare oltre perchè al momento giusto (o sbagliato) si è arrivati. Ma è anche un viaggio che ci fa osservare prima di tutto gli altri, come viaggiano e a cosa pensano.
Architettura di carta 001: costruita su Huizinga, Callois, Alinovi, Gerosa
FONDAMENTA
” (…) Insieme al gioco però si riconosce anche, volere o no, lo spirito. Perchè il gioco, qualunque sia l’essenza sua, non è materia. Oltrepassa già nel mondo animale i limiti dell’esistenza fisica. Riguardo a un mondo di immagini come determinato da un mero rapporto di forze, il gioco sarebbe una sovrabbondanza nel senso proprio della parola. Solo per la presenza dello spirito (…) l’esistenza del gioco diventa possibile, immaginabile, comprensibile. L’esistenza del gioco conferma senza tregua, e in senso superiore, il carattere sopralogicodella nostr apresenza nel cosmo.
(…) L’uomo che volge lo sguardo alla funzione del gioco, non nella vita animale, né nella vita del bambino, ma nella cultura, ha il diritto di impadronirsi del gioco là dove la biologia e la psicologia lo trascurano. (…) Trova dappertutto presente il gioco come un proprio modo d’agire che si distingue dalla vita “ordinaria”. (…)
Gioco non è la vita “ordinaria” o vera. E’ un allontanarsi da quella per entrare in una sfera temporanea di attività con finalità tutta propria. (…) tale coscienza di “giocare soltanto”, non esclude che questo “giocare soltanto” non possa avvenire con la massima serietà, anzi con un abbandono che si fa estasie e elimina nel modo più completo. per la durata dell’azione la qualifica “soltanto”. Il gioco si converet in serietà e la serietà in gioco. (…) Il gioco sa innalzarsi a vette di bellezza e santità che la serietà non raggiunge.”
dal capitolo primo, Natura e siginficato del gioco, pp.6-8 del volume di Johan Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, 1973
PIANO TERRA
“Mimicry. Ogni gioco presuppone l’accettazione temporanea, se non di un’illusione (per quanto quest’ultima parola non significhi altro che entrata in gioco: in-lusio), almeno di un universo chiuso, convenzionale e, sotto determinati aspetto fittizio. (…) Mimica e travestimento sono dunque le molle di questa categoria di giochi. (…) Il piacere consiste nell’essere un altro o nel farsi passare per unaltro. Ma, al momento che si tratta di un gioco, la questione essenziale non è esattamente quella di ingannare lo spettatore.
(…)
E’ la vittoria della finzione: la simulazione porta a una possessione che, quanto a essa, non è simulata. (…)”
pp 36-37, Roger Callois, I giochi e gli uomini. La Maschera e la vertigine. Bompiani, 1981
PIANO PRIMO
Nel video gioco “… l’utente è presente nell’universo di gioco sempre sotto forma di simulacro (sia esso personaggio poligonale, un cursore o un agente invisibile come in tetris).
(…)
La forma più completa ed evoluta di rappresentazione è quella interattiva … Questa forma è ciò che permette di dimostrare che il gioco non può essere consdierato come una storia, nel senso che il primo può essere ripetuto più volte, consentendo al giocatore di cambiare continuamente strategia, mentre una storia presenta i fatti in una sequenza immutabile e soprattutto, se ripetuta, non presenta nessuna nuova informazione.
(…)
L’homo videoludens, proiezione nell’era digitale dell’homo ludens di Huizinga, si contrappone all’homo ultrasapiens interconnectus, ovvero l’abitante del villaggio globale che opera nella sfera dati grazie a protesi artificiali gestite dal computer”. pag. 51, Francesco Alinovi, Serio Videoludere. Spunti per una riflessione del Videogioco in: Matteo Bittanti, a cura di, Per una cultura dei videogames. Edizioni Unicopli, 2004
ATTICO
“L’unico problema vero è credere in questi mondi, ma crederci fino in fondo, legittimando il viaggio quotidiano nell’altra vita e considerandolo a tutti gli effetti una vita vera. (…) Pan diceva che è sufficiente sognare… ma i tempi sono cambiati, la fantasia si è arrugginita e ha bisogno di essere stimolata. (…) Il punto cruciale della realtà virtuale è di non considerarla come un fenomeno da baraccone o come un gioco da eterni bambini. La realtà virtuale è una cosa seria”.
Mario Gerosa – Aurélien Pfeffer, Mondi virtuali, Castelvecchi, 2006
Oggi Laura inizia il suo corso sul viaggio. Un pensiero a lei.
A tal proposito mi viene da chiedermi se esisterà mai un mal di Second Life analogo al mal d’Africa. Si formeranno delle forme di “nostalgia” verso i mondi virtuali che non siano solo frutto di vertigine compulsiva ma una vera nostalgia per quel determinato luogo, nel senso di luogo antropologico? I luoghi sono importanti, sensibili, loro e rendono sensibili noi. I luoghi contano, ma sempre in quanto luoghi abitati, fatti dal flusso continuo degli uomini, dai gesti. Specie se sono luoghi virtuali. È l’umano che mi interessa. Sebbene gli incontri non siano sempre piacevoli, possono essere anche ostici, metterti in posizione difficile, creare shock culturali. Girando per le land si incontra gente di ogni parte del mondo.
World Map di Second Life
Ma sono poi così differenti i luoghi che si incrociano? Anche Second Life, non è luogo globalizzato? (In fin dei conti ci è nato dentro).
Il pensiero centrale è come devono e possono presentarsi (rappresentarsi e promuoversi) i territori reali al suo interno. E’ un problema legato alla nuova dimensione geografica (la neogeografia) che ormai essendosi spostata sul tema dei contenuti non solo si è virtualizzata ma ha messo indiscussione il valore geometrico sostituendolo con il discorso georefenziale.
A proposito di modelli geometrici per raccontare la geografia, e guardare la mappa che mostra il mondo Linden: il mondo in SL è piatto. Second Life non è Second World. Non è una palla. Non è una Seconda palla. (Ma non è nemmeno la Flatlandia di Abbot). Assomiglia al mondo per-colombiano.
Saranno finiti i bordi o crescerà senza limiti come le città Sim? Ho navigato talvolta senza l’uso del Search, solo in punta di mouse e “clic” sulla Map.
World Map di Second Life
Ma non ho ancora sperimentato i bordi. Solo l’inland di Second Life. Come capita nel mondo reale, alcuni non ti danno il permesso di ingresso, la Visa. Altre volte ti invitano ad uscire entro 15 secondi.
Non ha alcuna relazione geometrico spaziale con il mondo reale, ma ne imita alcune forme di governo e di aspetto. Alla lontana mi ricorda un poco l’isola su Solaris, di Tarkovskijana memoria.
Il film era un incrocio di pensieri sulla scienza e sulla natura dell’uomo che si esprime con la capacità creativa (artistica e non solo). Nel film rivendica il valore dell’arte contro la fede assoluta della scienza: attraverso la crazione artistica l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Mi sembra che come definizione finale possa essere perfetta: sono gli abitanti, con i loro progetti a dar forma ai contenuti delle Land. A fare materializzare il loro proprio pensiero in SL. Dopotutto ogni avatar si porta dietro comunque un pezzo del suo proprio mondo e tende a manifestarlo intorno a se dando forma ai desideri.
Andrei Tarkovskij, Solaris, Mosfilm (1972)
Asian e un suo drago in Second Life
“Immaginiamo che gli animali della mitologia siano i fossili di una fauna attuale” diceva Alberto Grifi, “e immaginiamo che gli animali della fantasia che i mezzi di comunicazione hanno creato, fino a quelli degli incubi più spaventosi, vengono da questo lontano passato culturale e si giocano oggi dentro a questo nostro ambiente culturale“.
Alien, scultura di H.R. Giger
Sempre Alberto Grifi, in una sua trasmissione radiofonica per la rai, riproposta da poco in Podcast su Radio3, propone un esempio noto a tutti: Alien non è solo il progetto di un mostro per il cinema ma il progetto di un animale da incubo. Carlo Rambaldi, Hans Rudi Giger, e tanti altri che hanno lavorato a questo progetto, hanno costruito un perfetto personaggio da mitologia contemporanea che ha le sue origine in quella fauna fossile antica che con il medioevo assume carattere negativo. Ad esempio la sua coda di drago. Ma di quale drago? Non la coda dei più antichi draghi (innoqui lombriconi con le ali di uccello raffiguranti simbolicamente una natura buona), ma i draghi che dal medioevo, da quando cioè la natura viene vista come nemica, popolano le nostre peggiori fantasie notturne. I draghi da quel momento prendono le ali della notte, quelle dei pippistrelli come Belzebù. Lucifero cadendo verso gli inferi subisce lo stesso destino: le ali d’angelo si tramutano in ali da pippistrello.
Come dicevo: è il progetto di un incubo. Per chi lo ha compiuto, si è liberato dei suoi incubi o quanto meno li ha affrontati. Dopotutto il cinema horror costruisce dei riti collettivi di esorcismo.
Una domanda che mi ponevo in principio, entrando in second life, era: perchè una persona si fa un avatar travestito da “morte” con tanto di falce? Fa impressione. A livello simbolico, è sciocco non ammetterlo, impressiona: anche se è un avatar ti genera una reazione quantomeno di diffidenza. Non capivo per chi lo faceva: per sè o per gli altri, come provocazione o cosa? Per chi lo indossa è un esorcismo dopotutto: mi travesto delle mie paure per esorcizzarle.
Chiunque può travestirsi da qualsiasi cosa, anche delle proprie paure. Lo sguardo dall’interno e contemporameamente dall’esterno è una transe che in psicologia ha un significato preciso ed è legato allo stato modificato di coscienza (Georges Lapassade, Stati modificati di coscienza):
“L’unità della transe dovrebbe essere ricercata proprio in questa relazione sconcertante, in questa sorta di connivenza mediante la quale il soggetto che cambia e si vede cambiare, sembra osservare questo cambiamento da un punto che resta fisso, vigile, attaccato alla terra ferma, mentre un’altra parte di se stesso (ma non un altro io) gioca a lasciarsi andare sregolatamente”. (Nota: i grasseti sono miei)
Asian e un suo drago in Second Life
In sostanza Second Life ha una dimensione sciamanica. Come il tarantismo.
Questo credo lo abbiano provato tutti gli avatar. Che sia una “sregolatezza” legata alle paure, legata alle pulsioni (sessuali o di altro tipo) o di semplice “contatto” con gli altri (i timidi), in second life, attraverso la pantomima, si superano barriere spesso insormontabili.
Ma qui il digitale ha inventato poco in quanto non ha fatto altro che riprendere una parola dall’induismo: avatar. E proprio in quella religione che il dio stesso (o uno dei suoi aspetti) si incarna in un corpo fisico. Avatar o Avatara (in sanscrito “colui che discende”) incarna la nostra parte spirituale (con tutti i suoi valori) in una dimensione che troppi definiscono irreale ma che preferisco la definizione “virtuale” nel senso di “in potenza”.
Anche il tarantismo assolve lo stesso ruolo: esorcizzare. Vedremo poi, in un altro post.

Tarantola e tarantismo, illustrazione da Antonio Fasiello Cronaca della taranta, Marcarella editore
Per concludere questo post con un esorcismo: ho sognato animali fantastici, draghi, mostri e fiere per un anno intero. Mi inseguivano, attaccavano, minacciavano… svegliavano. Ci voleva una psicomagia, mi avrebbe detto Jodorowsky, per risolvere il mio problema onirico (che ne celava altri). L’ho fatta, due volte: la varicella mi ha trasformato in un mostro squamato e ora, di animali fantastici, ne possiedo una decina e li cavalco. Da una settimana non li ho più sognati.
Asian e un suo drago in Second Life
The begininnigs of EVA (extra-vehicular activity): opening the door.
Non so se deve essere sempre così ma sembra che per ogni “prima volta”, nella fotografia, si debba avere sempre un visione disturbata, incerta. Lo avevo mostrato già qui.
Il 18 marzo del 1965, quarantatre anni fa, il cosmonauta russo Aleksey Leonov lasciò la navicella spaziale per fare la prima passeggiata umana nel cosmo. L’immagine d’apertura è la prima foto conosciuta (in occidente) di un cosmonauta che cammina nello spazio e che poi è stata pubblicata in una rivista americana del 1976 riprodotta qui sotto.
Space world, The magazine of space news, Febbraio 1976. Vol. M-2-146
(foto di copertina dell’agenzia spaziale sovietica TASS-APN)
La rivista apre con una titolo davvero d’effetto e preciso nell’esporre un’idea chiara: the begininnigs of EVA, opening the door (trad.:l’inizio delle attività extra-veicolari: aprire la porta).
Per 4 anni cosmonauti e astronauti hanno attraversato il cielo continuando a “cadere” (il volo nello spazio è una lenta caduta) verso il rientro programmato. Uscendo verso l’esterno (compiendo l’eva: extraveihicular activity) per la prima volta si sono fermati, hanno segnato il passo. Hanno fatto il “picinic (solitario) lungo il ciglio della strada” (magari pensando ad Arkadij e Boris Trugaqrskij di Stalker). E’ vero che l’ambiente terrestre è sempre presente, protetto dentro le tute collegate alla cabina, ma la stessa tuta non è più sulla Vostok; è messa lì sul ciglio della strada assiem al cosmonauta. La foto pubblicata più sopra sembra lo scatto preso dallo specchietto retrovisore (in realtà è lo scatto fatto ad un monitor).
Nello stesso articolo dove viene pubblicata la foto di Leonov, compare anche la foto del primo astronauta americano. la mostro qui sotto:
La foto è di tre mesi dopo (sembra passato molto più tempo però). Come recita la rivista, per tutte le immagini riprodotte qui sopra: Photos courtesy of Nasa.
Un’altra foto:
Questa è nuovamente una “prima immagine” pubblicata questa volta nel mondo sovietico; tratta da K Zvedzam (trad.it.:verso le stelle) un libro non troppo interessante dal punto di vista del viaggio nel Cosmo ma mostra bene il lavoro collettivo a terra. Del 1986 pubblicato da Izdatelstvo “Planeta” Moscva 1986 (trad.it.: Pubblicazioni Planeta, Mosca, 1986)
Di questi due eventi oggi si possono trovare molte immagini anche di qualità sul web. Tra le altre queste due miniature molto nitide. A differenza della altre non lasciano molto spazio a fantasie o a racconti. Forse è questo il motivo per cui lanciano le “prime immagini” se ne trattiene l’immagine chiara in cambio della visione?
Ed white, Nasa in basso a sinistra; Aleksey Leonov, Agenzia Spaziale Sovietica, in basso a destra




























