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Come dice giustamente Giovanni nel suo post (pubblicato mentre si stava costruendo questo evento), Mondine in Second Life “è un atto simbolico che prende corpo”. Ne potete leggere anche qui, post scritto da Elena nel sito ufficiale del gruppo Mondine 2.0, da Laura/Liu e da Elena/Velas.
Ognuno di noi ha il suo 25 Aprile, anche Roberta ne parla.
Nato da una telefonata, da qualche chat, questo scrigno di “cristallo”, questa skybox museo, sarà inaugurata oggi, 25 aprile 2008, nella land Mondine in Second Life, collocata nella regione di Genesi Italia.
Perchè fare una cosa del genere in un ambiente digitale, “virtuale”?
Il pensiero che sta alla base dell’operazione è un segnale raccolto, anzi trasmesso, da Alberto Cottica: documentare, raccontare, presentare il passaggio di testimone di una generazione di mondine (l’ultima vera) a una nuova generazione che seppure non abbia vissuto quel tempo, si fa carico di trasmetterne i significati, le forme e i contenuti del canto delle mondine (“Di madre in figlia 2.0”).
Allora il senso di questa operazione è quello di poratare contenuti sociali all’interno di second life.
Nel mio caso è pure una possibilità di rendere emozionale una idea all’interno di una dimensione a sua volta immersiva (second life). Alcuni lavori, passati, dimenticati hanno assunto ormai una dimensione metafisica. Questo museo ci racconta anche questo: una metafisica del lavoro, della risaia. Non ci sono spiegazioni: la risaia e gli abiti delle mondine (da prendere e indossare) sono lì. E’ solo l’inizio. Il plot è chiaro. Allora: a laurà! (A lavorare!).

“Il viaggio filosofico è viaggio nel tempo, un viaggio nei luoghi dell’origine culturale del quale il viaggiatore filosofo si sente membro.” Così apre Eric J. Leed nel volume La mente del viaggiatore (edizioni il Mulino, 1992) uno dei suoi capitoli.

La ricerca di una natura in second life è un viaggio di qualcosa di originario, di una origine condivisa o condivisibile. Cosa significa cercare una natura? Cercare quegli elementi che riproducono una condizione specifica di un luogo che prescindono da una intenzione di azione dell’uomo (avatar). Come dire cercare quel qualcosa che è imponderabile, che chi ha progettato la piattaforma non ha progettato ma che comunque ha trovato qui il suo luogo.

Ieri sera, 22 Aprile, l’esercizio ha avuto il suo compimento: ho inaugurato la Skin Tower alla Greenfield Room (galleria d’arte di Second Life di Roberta Greenfield a Post Utopia) e ho verificato le premesse. Da tempo stavo cercando le radici di una natura in second life e queste le ho trovate non nelle forme ma nel tempo. La cosa che condividiamo pienamente tra i due ambienti (al di quà e al dilà dello schermo) è il tempo che trascorriamo e le emozioni che proviamo.
Date le regole per visitare la torre – dall’interno, modalità fly, non fare nulla se non guardare – si comincia ad entrare in una condizione dove è il tempo e lo spostamento che compongono un viaggio lento, ma continuo. E’ come il volo del cosmonauta: una caduta continua, lenta dove l’unica cosa da fare è guardare, immersi nel tempo che diventa spazio. E’ un pensiero d’artista.

A commeto di un mio post precedente, dopo averlo più volte “provato” in-world.

Il mio interesse per le immagini è una dell cose più comuni al mondo, almeno per noi di questa cultura occidentale. Altre cuture sappiamo avere altri rapporti con il mondo delle immagini. Semplificando: l’immagine è sempre legata ad un voyerismo; nasce come descrizione della vita (incisioni rupestri) per diventare con tempo allegoria di un legame che porta verso una dimensione erotica e/o sacra.
La cosa che mi interssa delle immagini è l’esperienza che si nasconde tra l’apprendimento di una conoscenza e il piacere che si espone.
In questi giorni sto “guardando” molto, come sempre: onnivoro.
E’ lo stato di sospensione che alcune immagini ci suggeriscono. La sospensione nel tempo e la gravità del corpo che guarda. Forse è questa la sintesi dello “sguardo ostinato” che ho voluto costruire.
Cito Jean Luc Nancy* (che sto parafrasando in parte):
“E’ attraverso questa esperienza straniante che, a nostra volta in uno stato di sospensione, ci siamo esposti, privi di abiti teorici, all’arte dell’incontro…”.
(Ringrazio Azzurra Collas che, in qualche modo, mi ha ricordato alcuni miei temi)

Nei prossimi giorni alla Greenfield Room (Galleria in-world di Roberta Greenfield a Post Utopia) ci sarà la presentazione di questo lavoro e per chi vorrà, potrà fare esperienza di questa “sospensione” che lascio, volutamente, non spiegata.

Segnalo questo post dal Blog di Arco Rosca Temperatua 2.0.
Condivido con lui una idea precisa: in SL è ora di “fare” architettura.

*: Federico Ferrari, Jean Luc Nancy, La pelle delle immagini, Bollati Boringhieri 2003

texture-skin @ fabio fornasari

photoshot: skin tower, interno , C Lednev

verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia

verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia


verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia

verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia

verifica 002 – C. Lednev – Post Utopia

Una nuova costruzione (verifiche di spazi 002) al Cantiere Lednev

L’architettura di oggi non offre certezze ma pone dubbi: il nucleo (il suo contenuto) è spesso distante dal suo involucro. Ciò accade ad esempio nei grandi edifici pubblici, nei grandi centri commerciali dove si tende a consumare tempo oltre che denaro. La distanza tra nucleo e involucro è tale da non permettere più alla facciata di comunicare cosa avviene al suo interno. Come ha scritto Rem Koolhaas (Junkspace):

uno dei fondamenti dell’onestà è abbandonata al suo destino: architettura degli interni e architettura degli esterni divengono progetti separati: una confrontandosi con l’instabilità delle esigenze programmatiche e iconografiche, l’altra – portatrice di disinformazione – offrendo alla città l’apparente stabilità di un oggetto.

Si potrebbe dire che la tecnologia ne sia responsabile prima della speculazione: l’ascensore, le scale mobili, gli impianti di condizionamento, i meccanismi in genere hanno svuotato il repertorio classico dell’architettura. Ma è propri la tecnologia che ha cambiato e liberato le ragole della progettazione. Questioni di composizione (la facciata), scala metrica (il mio corpo, la mia dimensione e l’architettura), di proporzioni, di dettaglio sono diventate ormai disquisizioni soltanto accademiche. Questo ha portato anche alla rottura con il contesto, in quanto esso non è più luogo di riferimento ma luogo-pretesto. L’architettura parrebbe non fare più parte di nessun tessuto.
In realtà si occupa di definire modelli, diversi modi di pensare a se stessa e allospazio al suo interno.
Il suo interno diventa richiuso in se stesso e trova la sua motivazione proprio in quella pariola: interno. ”.
L’integrazione del corpo dentro l’architettura (porlo a proprio agio nel caldo o nel fresco di un ambiente climatizzato, dandogli possibilità infinite di accessibilità dei luoghi in verticale e in orizzontale), tuttavia è stato anche il motore di innesco per produrre luoghi non integrati rispetto il contesto del paesaggio, luoghi “guscio” richiusi in se stessi (cocoon) o, secondo un’altra metafora, nidi (nest) aperti verso l’esterno da finestre più “digitali” che reali (i media di comunicazione in genere: carta stampata, pubblicità, televisione, internet ecc… tutti elementi che compongono il panorama dell’architettura contemporanea).

Rimuovere le proprie cose fa bene.

Oggi ho “demolito”, “rottamato” (in cambio di recuperare il numero di prim a mia disposizione) quanto avevo costruito sulla mia piattaforma (Cantiere Lednev) il giorno di Pasqua (mi riferisco alla piattaforma per costruzioni in Post Utopia -Second Life). Nulla di che, ma l’atto simbolico della demolizione non è meno potente dell’atto simbolico della fondazione.
Nello stesso momento leggo una recensione sul blog di Mario Gerosa. Si pone il problema della conservazione delle “cose” realizzate nei mondi virtuali (termine non condiviso da molti) e ci suggerisce un libro che è certamente da leggere (rimando al suo post) per chi si interessa di archivi.
Il “mal d’archivio” del quale parla Mario mi ha ormai sopraffatto da tempo ed è argomento del mio piccolo corso che tengo all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Archiviare significa non solo raccogliere ma operare delle scelte e studiare delle strategie per catalogare, raccogliere, disporre, conservare. In questo senso l’archivio è a sua volta un dispositivo nel senso che dà Foucault a questa parola nell’Archeologia del sapere e in un’intervista del 1977 in cui dice a proposito del dispositivo:

Ciò che io cerco di individuare con questo termine è, innanzitutto, un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, proposizioni filosofiche, in breve: tanto del detto e tanto del non detto, ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo è la rete che si istituisce fra questi elementi […]. 
Col termine dispositivo intendo una specie – per così dire – di formazione che in un certo momento storico ha avuto come funzione essenziale di rispondere ad un’urgenza. Il dispositivo ha dunque una funzione eminentemente strategica […]. Ho detto che il dispositivo è di natura essenzialmente strategica, il che implica che si tratti di una certa manipolazione di rapporti di forza, di un intervento razionale e concertato nei rapporti di forza, sia per orientarli in una certa direzione, sia per bloccarli o per fissarli e utilizzarli.

Morale: conservare, raccogliere, ricordare, catalogare ecc. non è cosa banale e non è solo un mettere da parte. E’ anche questo un progetto, importante, perchè struttura le possibili letture future dell’archivio stesso e delle cose contenute. Pensare e progettare oggi l’archivio di Second Life, ad esempio, significa preparare le basi della scrittura di una storia futura di quel mondo.
Alla parola archivio si associa sempre una idea di autenticità, di verità.
Le cose ivi contenute assumo uno statuto di autenticità immediata. La stessa pretesa di autenticità che hanno le parti storiche della città in relazione alle parti moderne.
Prendete Roma ad esempio, un grande archivio di spazi a cielo aperto: la città autentica non è la periferia (espressione di un modo magari sbagliato ma contemporaneo di pensare il territorio) ma la città romana del Foro e del Terme e quella dei papi.
Come dire che la città “morta”, codificata come città storica, viene riconosciuta più autentica di qualsiasi altro pezzo di città “viva” che è espressione del proprio tempo.
Le stesse guide turistiche sono archivi organizzati per mostrarci l’autentico che per l’italia, a parte alcune rare eccezzioni, coincide con il periodo medievale della nostra storia.

NewKit Asian Lednev © Fabio Fornasari

Il 18 marzo 2008 l’avatar che fa le veci del mio corpo in second life ha compiuto un anno. Ho pensato fosse tempo di cambiare aspetto. Aspetto e qualcosa di più. Come mi diceva di se Donataello Saunders, aka Thomas Galli, ero rimasto “come Linden mi aveva creato”; l’ho fatto di restare così, con uno scopo preciso: confondermi tra la folla. Ogni avatar è un progetto, ne sono convinto, e ha uno scopo all’interno della rete. Il mio era quello di osservare senza essere troppo osservato, senza troppo “spostare”. Poi, come spesso capita, lo sguardo si sposta sull’osservatore stesso (auto-osservazione) e questo introduce al cambiamento.
Quindi l’aspetto Newbie (newb, noob, nab, nabbo nub, nib o n00b o niubbo) ha terminato il suo scopo e ho deciso di rivedere il mio aspetto generale, anche in relazione alla sim dove ho “fatto home”: Post Utopia della quale già ho parlato qui e qui.

Morale: disegnare l’avatar (ri-disegnarlo) non è solo come cambiare look ma è cambiare il proprio atteggiamento verso lo spazio della rete. Rivedere un progetto, modificare il proprio avatar, significa cambiare attitudine verso il mondo nel quale si risiede, si opera, con tutte le sue implicazioni.
Leggedo qui e qui si capisce che questa piattaforma – Second Life – è sempre più uno “spazio di lavoro” e il significato della parola ludico assume valori differenti. E’ passato ormai il tempo del “fa notizia” per lasciare il posto a “si fanno cose”.
Anche per questo motivo era giunto il tempo di “volgere una nuova faccia” al mondo di Sl e al tempo tascorso al suo interno.

Una semplice segnalazione per chi osserva, studia, lavora e gioca in Second Life.
E’ uscito nelle libreria il nuovo libro di Mario Gerosa Rinascimento virtuale.
Un tassello in più negli “universi di carta”. Un pezzo per una “casa” in costruzione.
Io l’ho già preso e lo sto leggendo. Do it.

P.S. 08.04.08
Concorso fotografico Rinascimento virtuale

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Tornado, Solkide Auer, 2007. Opera prodotta inworld © asian lednev

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vernissage: the Greenfiled Room espone Solkide Auer © asian lednev

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vernissage: the Greenfiled Room espone Solkide Auer © asian lednev

Roberta Grrenfield nella sua galleria © asian lednev

Il 3 aprile 2008 ha inaugurato in una “micro galleria d’arte” inworld: The Greenfield Room di Roberta Greenfield. Una galleria pensata come crocevia della creatività di SL che esporrà un’opera alla volta, prevalentemente installazioni. Un site specific di Second Life che si colloca al centro della sim Post Utopia, un “progetto originale” pensato da Junikiro Jun aka Giuseppe Granieri.
Il primo artista è Solkide Auer. Espone le sue opere nei maggiori musei inworld. Visitando il suo atelier, la cosa che mi è piaciuta di più del suo lavoro, è che usa i bug dei prim per costruire una visione originale delle cose. Effetti visivi prodotti da “errori” di rigenerazione che vengono usati intelligentemente per produrre straniamenti.
L’apertura della “G-room” mi fa riflettere sul tema del “passaggio” delle opere attraverso le gallerie e i musei di Sl. Analogamente a quanto mi capitò in occasione dell’inaugurazione della mostra di Millamilla Noel al Museo del Metaverso dove mi vennero in mente altre domande. Fino a qui mi ero preoccupato di ragionare dal punto di vista dell’avatar, della sua visione. Ora mi pongo un altro problema. E’ cosa nota che lo spazio della galleria ha la capacità di dare statuto d’opera d’arte alle cose esposte. Molto più velocemente degli sforzi dell’artsita. Da tempo ormai. La mia domanda allora è questa: vale anche per second life?
Il meccanismo della notorietà ricalca lo steso meccanismo del reale?
In qualche modo il mondo di SL è “il mondo” più giovane che c’e’. Un poco come l’Italia degli anni cinquanta dove tutto era ancora da fare e la creatività si esprime in ogni istante. La stessa esistenza all’interno dell’ambiente digitale è una esistenza costruita. Lo stesso corpo è costruito. Qualche domanda buttata lì. Più avanti le risposte.

Ogni realtà è in sé totale
Tutto nell’Universo è come l’Universo

M. Granet, il pensiero cinese,
Milano 1971

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boring postcard from my desk © fabio fornasari

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Boring postcard from my desk © fabio fornasari

Nel post precedente ho accennato ad un lavoro che sto facendo nel cantiere del mio avatar. Parlavo di rappresentare una architettura che contenesse tutti e tre gli elementi del pianeta: regno animale, vegetale e minerale. In oriente, questo tipo di costruzione e semplificazione della realtà esiste da secoli. Una negazione dell’architettura in realtà per una esaltazione di un visione del mondo.

Mondi in miniatura, giardini in miniatura: sono piccole vasche che contengono l’immagine del mondo, del macrocosmo. Cina, Vietnam e Giappone li tenevano (li tengono tuttora) dentro i templi e nelle case. Quello che viene rappresentato è un mondo chiuso, intimo e personale che è un rifugio per l’uomo e una garanzia per la sua integrità fisica e psichica. La riduzione della natura ad artificio, in queste miniature di mondo, rendono la natura più vera della natura stessa. L’uomo può migliorare, grazie all’arte, un prodotto della natura.

Osservare questi giardini cinesi in miniatura può essere utile per alcune implicazioni: ci mostrano possibili modi di vedere il macrocosmo che viviamo e possono essere letti come metafore anche dei mondi cosidetti “virtuali”: il mondo digitale, i mondi metaforici, ecc.
Ogni “sim” creata nel digitale contiene gli stessi elementi e le stesse implicazioni (folosofiche-sociologiche) dei giardini in miniatura corientali (le sim sono in più abitate da avatar, che portano la vita inside, in world. Nelle “vasche cinesi cisono i pesci rossi. Il punto d’osservazione cambia).

Vi sono due tendenze nel “rapresentare un microcosmo”: la prima riguarda la propensione a ricostruire l’habitat naturale. La seconda, al contrario, mira a creare forme insolite, bizzarre e nuove. Sono le due tendenze individuate per i microgiardini o giardini in vasca. Ma valgono anche per Second Life ad esempio. Leggere il volume di Rolf A Stein sui giardini in miniatura, da questo punto di vista diventa interessante. (Rolf A. Stein, Il Mondo in piccolo, Giardini miniatura e abitazioni nel pensiero religioso dell’Estremo Oriente, Il saggiatore 1987). E’ un bellissimo volume che raccoglie un lavoro di cinquanta anni di produzione intellettuale dello studioso allievo di Marcel Granet, lo studioso e scopritore per eccellenza della cultura cinese.

Fare mondi
Anche in questo caso ne ho fatto uno (Do It), dopo avere compiuto un breve viaggio in Alto Adige due anni fa. Nel suo piccolo, fare un giardino in miniatura, è come ricostruire una memoria di viaggio, un souvenir a posteriori. Ogni figura esercita un ruolo, è un plot per cogliere il senso del giardino stesso. Nulla è lasciato al caso. Le figure umane non sono lì per farci “ridere” ma per farci sentire immersi in quel microcosmo, Dopo averci passato “un giorno intero” in Alto Adige l’ho materializzato sulla mia scrivania in quesat forma di “giardino”; curarlo e mantenerlo è legato alla dimensione viva del “ricordo” di viaggio che si mantiene vivo in noi e ci spinge, fatto uno, a compiere un nuovo viaggio.

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immersione al cantiere

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verifica 001 POP. atelier in second life

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verifica 001 POP. atelier in second life

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Asian Lednev in cantiere

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la piattaforma

La dimensione ludica di Second Life sta proprio nel costruire (to rez da Tron – noto film Walt Disney del 1982), nel pensare e creare un proprio mondo. E’ la dimensione più interessante insieme al costruire relazioni tra le persone, conoscersi. Sono opinioni condivise da molti.

E così, il mio percorso, la mia ricerca, intorno a questo tema di SL finora solo osservata e praticata in piccole cose (bolle-camper ecc), ha deciso di mettere delle fondamenta su una (non a caso) “piattaforma”. La regione è nuova, in costruzione a sua volta: Post Utopia. Fondata da Junikiro Jun aka Giuseppe Granieri è pensata per “sperimentare” su diversi livelli. Morale: ora ho un atelier in-world dove “tagliare” i miei spazi, per dirla con la Woolf “tutto per me”.

Del divertimento e della soddisfazione di fare cose ne ha parlato anche Monick nel suo post “Creazioni digitali”.
Avere un posto dove fare e montare, verificare, costruire per poi distruggere “lavori” esistenti solo nel digitale, intesi come opinioni sullo spazio nel mondo metaforico. Come prima cosa ho cercato dì rendere “visibile” un mio pensiero di spazio fatto di luce, colore (grazie a WindLight) e che triangoli i tre regni del pianeta: animale, vegetale, minerale. L’architettura, spesso se ne dimentica, li comprende tutti e tre. Questa prima verifica (costruire spazi comunicativi in-world) è uscita con una immagine molto POP. Forse perchè avevo in mente gli spazi di Los Angeles e il il British Pop nelle orecchie. (Ma quanto influenza l’ascolto della musica nel processo creativo ?!).

“… My charmed life
I hope, I hope if nothing more
That one day you’ll call your-
Life
A charmed life

Divine Comedy – Charmed Life Lyrics

Dal mio punto di vista tutto questo è “divertente”: non uno spazio contemplativo ma uno spazio di gioco, manifesto-programma per questo luogo. Siamo seri: qui si può, in real life ci si prova, a volte ci si riesce… qui si deve. Second life è “il” site-specific del contemporaneo.

Finito il lavoro (mancano script agli oggetti e qualche animazione…sto studiando) poi procederò alla sua denolizione, in quanto deve essere spazio di verifica di idee, destinate a cambiare. Come talvolta dovrebbe essere l’architettura nel mondo reale: capace di mantenersi viva e non di conservarsi. Ma questa è un’altra storia.