LA BATTAGLIA TRA CULTURA ALTA E CULTURA BASSA E’ FINITA
NOI SIAMO I PRIMITIVI DI UNA CULTURA ANCORA SCONOSCIUTA
In questo blog cerco di non sbandierare troppi entusiasmi sulla tecnologia. Non perché non ne abbia di entusiasmi, anzi; semplicemente mi interessa lavorarci intorno, vedere cosa accade al contorno. Stesso discorso sulla comunicazione e l’innovazione in genere. Questo a premessa di un post letto in Ibridazioni sul Wii Fit. Rimando per il video al post originale, per segnalare semplicemente questa tecnologia che una volta di più non si limita a considerare il corpo come estensione di una mente ma, anzi, come nell’atletica leggera, mente e corpo diventano un unico organo.
Nello sport come nel digitale la parola abilità ha un significato preciso: essere abili significa avere la capacità di svolgere mansioni complesse conseguita con l’esperienza e l’applicazione. Si è abili quando il cervello e il corpo (attraverso una precisa mappatura che li tiene saldamente in relazione) sono tra loro “connessi”, quando sono educati ad esserlo. Essere diversamente abili significa la stessa cosa (come non pensare a Oscar Pistorius). Ciò che cambia è la mappatura del corpo. Chi si muove in second life sa perfettamente cosa significa essere “diversamente” abili: ne ha esperienza ogni volta che vi entra. Non è cosa semplice.Per chiudere: il digitale, con tutto il suo portato di innovazione, è intorno a noi. Tutti gli oggetti che usiamo sono estremamente sofisticati anche per il contenuto di questo “digitale” (era uno dei miei punti del decalogo digitale presentato al corso di Giuseppe).
Oggetti sofisticati comportano abilità sofisticate. Ognuno di questi oggetti richiede una nuova abilità (visiva, motoria, cognitiva in genere) che porta ogni volta a “ricomporre il nostro corpo” in relazione al mondo.
Compito: da approfondire intorno alla mappatura del corpo in relazione alle tecnologie.
Il post precedente su una idea di macchina del tempo legata al mondo dei suoni mi è rimbalzata in un’altra bolla piena di idee relative all’innovazione e al suo significato. Non mi è mai piaciuto parlare dell’innovazione ma sono sempre stato chiamato nei lavori per le mie idee innovative o quanto meno per il contenuto di originalità. Così dicono gli altri. Non riconosco, nel mio pensiero, una problematizzazione della parola innovazione ma una condizione a prescindere delle idee stesse: devono esserlo. Per questo mi permetto di andare in qua e la nel tempo e negli spazi di (e in) questa “stanza” tutta per me (può un essere umano appartenente al genere maschile citare Virginia Woolf?).
Il tempo, visto in una chiave non cronologica, si propone come una singolare indagine delle cose: da un lato esso agisce forma e trasfigura l’arte del fare le cose, dall’altro questo stesso fare delle cose (la sua arte) si pone sovente su un piano di pura sincronia atemporale.
Con gli studenti mi capita spesso di parlare del tempo in chiave di futuro anteriore. Nel design come in tutte quelle arti nelle quali l’innovazione dovrebbe essere la stessa e più pura essenza, le cose che vediamo/sentiamo oggi sono sempre il risultato di un pensiero che pensa sempre più avanti del presente. Questo perchè tra il momento del pensiero e quello della sua realizzazione passa del tempo e chi le ha pensate, al termine del processo, le vive come obsolete. Forse è per questo che si dice che un artista, quando ha terminato un’opera deve disfarsene altrimenti la modificherà all’infinito. Vivo sulla pelle quotidianamente questo problema.
Futuro anteriore è anche in relazione al fatto che le idee, perchè possano diventare realtà, devono anche essere riconosciute da chi le deve accettare, acquistare, fare proprie. Quindi è un continuo andare avanti e indietro dentro la storia delle idee. Il mainstream del’arte ad esempio non accetta di buon grado che un artista cambi linguaggio: meglio cambiare artista. La stessa second life è una idea già vista con delle forme nuove. La sua vetustà viene dimostrata con molte delle cose che vi si propongono come nuove ma che di nuovo hanno solo la superficie. Forse è per questo che ne parlo sovente: perchè è un mondo dove c’e’ ancora molto da fare, come diceva anche Mario Gerosa in unAcademy.