Archives for category: antropologia

Tre anni fa sono stato attirato dalla struttura fluida dello spazio digitale che è mutabile, si increspa e ti permette di scegliere qualunque posizione al suo interno. Tre sono gli anni di questo mio spazio. Dovrei dire due. Nell’ultimo anno mi sono impegnato a riempire il mio tempo altrove: nello spazio che mi circonda, lo spazio del mio lavoro. Tre anni che hanno accompagnato diversi lavori e in particolare un cantiere che ha visto la fine il 6 dicembre a Milano dove questa dimensione mutabile e fluida si trova: il Museo del Novecento, all’Arengario. Ogni lavoro è fatto di mille intenzioni, mille passaggi. Questi ultimi sono stati condivisi con Italo Rota. Molte delle cose sperimentate qui le ho passate lì dentro. Molto di quel progetto ha preso da questa dimensione. Dopotutto il digitale è una attitudine non uno stile. Generalmente le opere che compongono i nostri spazi sono costruite su un’idea determinata, su una direzione fissa… una tradizione che arriva direttamente dal rinascimento, dall’illuminismo. Troppo spesso siamo abituati a seguire “un filo del discorso” legato a uno “sviluppo della trama”. Nei miei lavori cerco sempre di introdurre un cambiamento lento slegato da una trama chiusa. Non una rappresentazione che si dichiara rigidamente ma un racconto aperto, che enuncia, dichiara richiama i personaggi che trovano un ruolo solo legandosi alle persone che vi entrano.

Voglio che i miei lavori siano spazi dove rimanere per qualche tempo, dove trasfigurare lentamente la propria percezione. E’ importante che lo spazio e il tempo si increspino come l’acqua che sfiorata ci cambia la percezione avuta fino a quel momento. Come nella Cripta dei Falconieri di Borromini a San Giovanni dei Fiorentini. Quello che cerco sono spazi che mediano tra una dimensione concettuale e una dimensione emozionale. Questa è una vera nuova opposizione per le opere contemporanee. Non esiste più un interior contrapposto ad una architettura degli esterni: lo spazio è tutto legato all’interno di una unica esperienza dilatata che si increspa continuamente al passaggio di ciascuno.

E’ il tempo del ritorno.

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Ci sono persone che muovono il proprio immaginario sulla linea dell’orizzonte. Viaggiano, sognano nuove frontiere cercando di spostare “sempre più in là” la propria presenza all’interno di un pianeta che abbiamo d’un tratto scoperto finito. Muoversi lungo l’orizzonte, sulla superficie del pianeta in cerca di qualcosa di sempre più nuovo contiene una verità nascosta che in qualche modo svela molto della struttura stessa del viaggio. Per quanto ci si allontani dal punto di partenza, il nostro stesso cammino ci porta sempre più vicini all’origine della nostra partenza. Viaggiamo su una sfera dopotutto che ha una superficie esprimibile con una formula matematica e che ci dice che la sua superficie è finita ed esprimibile con un numero.
C’è chi invece muove il proprio immaginario sull’asse verticale, il proprio asse verticale: dal centro della terra verso l’infinito e oltre; sappiamo dove sta ma non sappiamo come sia fatto. Sta sopra la nostra testa. Poi ci sono persone come Jules Verne che viaggiano in tutte le direzioni, pure dentro lo spazio della terra.
Qui, ora, il punto di vista che esprimo su questo viaggio orizzontale, sulla sfera azzurra, si esprime come una peregrinazione all’interno del già noto: se anche io non conosco direttamente cosa c’è, qualcuno prima di me ha conosciuto e visto.
Il viaggio verticale è un viaggio che si muove prima di tutto su un piano del simbolico.
E’ viaggio dalla luce alle tenebre ad esempio. E’ un viaggio che agli estremi, simbolicamente ha due diverse forme di eternità opposte.
Sulla verticale viaggiano le dicotomie.
Ma è anche la prima vera conquista dell’uomo: dopo aver gattonato conquista la posizione eretta, la conquista dell’asse di stabilità di tutte le cose, l’opposizione alla forza di gravità.
E’ un percorso che mette in gioco molte certezze. Lo stesso significato di giorno e notte non hanno senso se ci si sposta sulla verticale. Il giorno ha senso solo se abitiamo in stretto contatto con il pianeta madre. Ha un senso in relazione ad una geo-grafia.
Ha invece senso il sopra in opposizione al sotto.
Le cose cadono verso il basso. Marina Cvetaeva, citata da Erri De Luca, scrive che “oltre l’ attrazione terrestre esiste l’ attrazione celeste”.

Come si torna a casa dopo un viaggio nei paesi lontani, così lungo la verticale si ritorna nella propria posizione eretta di partenza.
L’architettura ha interpretato più volte con molti modelli questa attitudine umana: l’invenzione dell’ala, la scala dello sciamano o la scalinata della ziggurat non sono che rozzi succedanei del volo. Per questo le ali e le altre architetture sono già mezzo simbolico di purificazione: permettono una elevazione.



foto Guido Massantini

Ascensione e discesa, luce e tenebre: senza citare tutto l’immaginario corrispondente di natura diurna e notturna, queste parole sia sul piano dei significati che del valore simbolico sono al centro dell’installazione appena inaugurata a Roma sabato scorso.
Il lavoro che ho preparato a latere di una ricerca in corso con un istituto del CNR, l’IRPPS, propone un lavoro sulle immagini che si fanno spazio offrendo una “discesa”, uno sprofondamento dentro di essa.
Di questo si tratta: un viaggio in discesa, verso il profondo di una immagine. E’ un calarsi in una architettura che si struttira su due opposti realizzata da Francesco Borromini, l’ultima sua fatica prima della morte tragica che si è riservato tutta per sè. La Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini custodisce un altare che nasconde sotto di sé la Cripta voluta dalla famiglia Falconieri. La dualità luce tenebre è già all’interno dell’architettura Borrominiana.
La discesa verso la cripta suggerisce una disposizione verso un qualcosa di “meno noto”; è un percorso che si fa metafora: porta sulla soglia di un mondo che non è reale bensì è virtuale in quanto è un doppio della realtà senza possederne la sostanza; suggerisce in chi guarda una disposizione verso la ricerca che si fa immagine nella fonte d’acqua dai toni della notte. Questa fonte riflette non una immagine ma un’intero luogo che suggerisce il tema della soglia tra uno spazio vertiginoso che ti porta a scendere ancora e uno spazio del ritorno.
Una soglia che ti pone il tema del “che fare?”.





Immagine dell’installazione presso San Giovanni dei Fiorentini

Location:
San Giovanni dei Fiorentini, Roma Via Acciaioli 2
dal 15 Maggio 2010 al 24 Giugno 2010
installazione di Fabio Fornasari
curata da Sveva Avveduto – CNR IRPPS
Sound design Paolo Ferrario/Ėsprit Machiniste

In viaggio per Roma. Verso un un nuovo lavoro che si inaugura questa sera.
In viaggio in treno, ora, con tutto me stesso all’interno di certe idee che mi porto dentro/dietro da tempo.
Da qualche parte devo avere scritto che i corpi sono spazi: oltre alla sua natura biologica contengono “cose” disposte secondo un ordine che non è sempre deciso da noi ma più spesso deciso dalle cose stesse.
I luoghi del corpo sono sensibili all’esterno: registrano spostamenti non solo fisici ma anche su altri diversi piani: del simbolico, del significato e di altri livelli. Ma aprono anche un dialogo costante all’interno della costruzione di doppi. Come un processo di costruzione di spazi “avatar” dentro di noi che poi sentiamo il bisogno di proiettare verso l’esterno attraverso strategie di costruzione, di significazione. Rispondere allo spazio dopo che questo è entrato in noi e ci ha posto una domanda. E’ come se gli spazi sentissero il bisogno di esser definiti da chi li attraversa.

Tempo fa inaugurai – sotto la cura di Maurizio Giuffredi – un nuovo progetto di Galleria d’arte a Bologna all’interno di un luogo particolare, un laboratorio di partecipazione che per lungo tempo e ancora oggi studia modelli di lettura e modificazione del territorio, XM24. Di loro ne parlai anche qui.
L’edificio in passato era stato usato dal Mercato Ortofrutticolo di Bologna. Quel pavimento ha registrato tutti i movimenti delle persone e delle cose che gli sono avvenuti sopra: macchie di pittura, segni, abrazioni: tutto visibile. Rinnovare la funzione di questo luogo attraverso una installazione site specific era l’unica condizione per potere procedere. L’unica possibilità per fare questo era operare con una procedura che non fosse di cancellazione della storia dello spazio ma nemmeno di conservazione. Era per me necessario sottolineare quella storia nel momento stesso in cui la si stava per perdere, attraverso il tema del doppio, di una immagine specchiata costruita fisicamente che dividesse e preparasse alla perdita, una forma di lutto.

Per questa “rielaborazione del lutto” della funzione dello spazio come luogo di lavoro ho applicato la tecnica dello strappo, aiutato da un restauratore – Davide Riggiardi. Una volta strappata la patina, è stata applicata sul muro adiacente, in verticale. Lo spazio e il suo doppio – la mia “proiezione” di quello spazio – erano in scena e la galleria fu aperta.

Stasera NON un’altra storia.

Catalogo della mostra. Le foto pubblicate nel catalogo sono di Daniele Lelli

Foto dell’allestimento

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Lo diceva già Mario Gerosa nella presentazione del suo volume per Meltemi: il Rinascimento sta vivendo nuova vita all’interno dei musei. Dopo il Correggio, i Carracci, Aspertini, Bellini è arrivata la mostra di Mantegna al Louvre. Se ne sono lette bellissime cose sull’Alias di ieri.
Da questo articolo prendo spunto per ripensare alla mostra fiorentina al Museo di Storia Naturale (via del Proconsolo 12) e ad alcune sue caratteristiche che con il tempo si sono anche meglio definite. A mio avviso, Rinascimento Virtuale segna un punto di non ritorno nella storia di Second Life, per essersi posta in modo non banale con la produzione artistica realizzata in-world. Non ha traghettato nel mondo reale le opere, o meglio, non le ha “teletrasportate” materializzandole in quanto tali, in modo “acritico” o meglio automatico. Direi che la sua qualità sia stata quella di avere lavorato all’interno di un pensiero illuminista ed empatico alle stesso tempo; ha cercato una modalità di inquadrare Second Life in una dimensione più allargata di “civilizzazione” all’interno del nostro tempo e non di avere presentato romanticamente un mondo altro, fantastico, pieno di artisti ed eroi. Rinascimento virtuale segue una drammaturgia sovrapposta, tra storie di civiltà differenti – quella collezionate nel museo – che non avevano nulla di eroico ma che abitavano il loro mondo con le loro cose. E’ una mostra che segna il passo per non avere collezionato “figure” ma per avere collegato, connesso concettualmente il pensiero stesso di Second Life con un pensiero antropologico. In altre parole per avere considerato “maturo” il tempo di SL e di credere che si sia entrati in una nuova fase della vita-ambiente che in cambio della dimensione eroica e rivoluzionaria sta acquistando una nuova dimensione più interessante ancora, di affinamento dei linguaggi e delle relazioni. Una fase che si potrebbe definire Post Second Life fatta di progetti maturi, impegnativi e che non mirano più solo alla ricerca individuale e spontanea creativa.

Il compito di collezionare i singoli artisti e di metterli in mostra per il loro grande valore è stato ben svolto da Arena, su volontà di Arco Rosca e di Roxelo Babenco, giustamento svolta dentro Second Life. Nell’insieme i due progetti lavorano in parallelo e non perchè Rinascimento Virtuale abbia una “finestra” sull’evento rappresentata da 20 piccoli schermi che passano nomi e immagini degli artisti. Se la mostra fiorentina – Rinsacimento Virtuale  – sottrae l’opera artistica dal suo ruolo individuale per riconsegnarla in una dimensione collettiva e sociale in movimento, Arena recupera la dimensione di ricerca individuale dei migliori artisti all’interno di una dimensione mondo propria di SL. Due differenti incursioni nel mondo, due approcci analogamente “illuministi” verso l’ambiente che sono propri del modo di lavorare nell’arte contemporanea. Questo è il domani di Second Life.

UPLOAD ore 19,43,00 Dic 14, 2008:

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E’ uscito il cd musicale di Rinascimento Virtuale. Musiche di Esprit Machiniste e di Leonardo Piras: il primo e unico nella storia.
Come pochi altri, da avere assolutamente!!!

C’è un aspetto di Rinascimento virtuale difficile da cogliere se si osservano le fotografie su flickr. E’ però nelle parole e negli scritti di Mario: la dimensione sociale dell’arte prodotta in SL. In fondo questa mostra (a fianco dei suoi testi) è il primo fondamentale passo per una storia sociale di Second Life.
A chiusura dell’articolo metto la tenda-comunicativa esposta nella mostra per fornire i primi strumenti di lettura, le chiavi per capirne meglio i contenuti. Un oggetto che fa parte di una serie completa che nessuna fotografia da sola può trasmettere: la tenda con il testo introduttivo di Mario. Tutta la mostra è pensata come una estensione concettuale della rete: la comunicazione non è avvenuta su pannelli museografico, su pannelli didattici, ma è il corpo stesso della mostra. Abbiamo usato la stessa modalità del “mondo” di comunicare attraverso l’ambiente e non attraverso le targhette… ma chi non l’ha ancora vista non può coglierne i valori di novità. E’ una mostra che non può essere giudicata dalle sue fotografie. Come Second Life deve essere vista dall’interno.
Non è una mostra che promuove singoli artisti ma un evento che sta dentro ad una grande narrazione collettiva che è nata in un luogo preciso: Second Life. E’ questa la prima chiave di lettura che differenzia questa iniziativa da qualsiasi altra.
E’ la risposta ad una sfida difficile ed offre un appoggio a tutti i residenti che si sentono parte di una nuova collettività condividendone le basi. Non è la soluzione al problema di lanciare nuovi artisti, individualmente riconosciuti, ma la presentazione di un lavoro che nato in un luogo specifico (di nicchia ricordiamocelo) tenta di farlo diventare universale (rompere la nicchia, dilatarla, allargarla al mondo reale). Trasporre nel reale le cose di second life, come già detto, è paragonabile al Jet-Lag. Tutto cambia. Lo statuto delle cose. Ciò che resta è la dimensione di “mondo”, la dimensione universale della ricerca. L’appartenere ad una idea comune declinata in modo diverso. L’arte dopotutto è sempre stato questo, la costruzione di valori condivisi.

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Jet-Lag concettuali.

A qualche giorno dalla conclusione del lavoro di allestimento di Rinascimento Virtuale, ho la percezioe del periodo passato durante i lavori come di un periodo segnato da un continuo Jet-Lag, da un “disagio” tra un dentro e un fuori che non è legato alla mia persona ma alle cose che in qualche modo sono state traghettate dall’interno (SL) all’esterno. Nell’esperienza dei Bar-Camp il “Jet_lag”, la “distanza” tra il mondo in-world e quello reale è compensato dalla sorpresa, dall’emozione di “sentire” la persona che si è conosciuta in una spazio “extra-sensoriale” (la natura delle sensazioni di ogni mondo ha le sue diferenze). Molto più complesso è portare fuori le cose, che non sono solo immagini ma sono veri oggetti. Per questo, presentando il lavoro di allestimento, ho più volte parlato di tre corpi (biologico-emanazione avatar-etnografico) messi a confronto nella mostra e cioè ho spostato l’attenzione dagli oggetti da esporre alla dimensione fisica, corporea di chi avrebbe visitato la mostra. La mostra è una compresenza di mondi fatti di cose; sono come tre ecosistemi che condividono lo spazio e il tempo con tre anime differenti.
Questo approccio nasce dall’osservazione del museo sovrapposto al pensiero di Mario Gerosa di volere affrontare il tema arte di Second Life in una chiave antropologica. Si richiedeva una osservazione particolare sulle cose che andava oltre l’evidenza fisica dell’immagine.
Osservando ne esce questo pensiero sugli oggetti. Ognuno di questi ha subito nel tempo (da tempo) un Jet_Lag che ne ha snaturato l’essenza: dalla dimensione funzionale interna ad una civiltà a oggetti feticcio*. Il museo, come corpo in sè, ha la sua storia ed è contenitore di civiltà che hanno le loro storie. La civlltà digitale non è ancora stata storicizzata. E questo è un grande vantaggio per le sue cose: non sono ancora “testimonianza”, “feticcio”. Non volevo che le cose di SL venissero lette come tali. Che fossero lette come feticcio.
Come tutti i mondi, anche il mondo di Second Life ha la sua anima. Per dirla con Plotino, questo mondo virtuale, è un grande vivente nel quale tutto simpatizza ed è sottoposto a regole e corrispondenze. Lo sguardo delle cose prima di tutto, le cose in se. La corrispondenza tra gli oggetti è inscindibile dall’ambiente.
Lo stare nei mondi in rete è un nuovo processo che in alcuni ambienti non lo si vuole ancora legittimare ma che testimonia una attitudine del genere umano che non si è persa ma sta vivendo una nuova stagione: è una nuova forma di avvicinamento ad un mondo come presenza. La presenza fisica nel mondo e la condivisione dell’esperienza.
Questa è una delle dimensioni concettuali che ha portato a declinare la mostra nella forma con la quale si presenta.

Del Jet-lag delle cose ne parla Franco La Cecla nel suo volume: Jet-lag, Antropologia e altri disturbi da viaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2002

Un ultimo tassello. Un piccolo documento che racconta qualcosa di Rinascimento Virtuale, uno spot di un qualcosa di molto più grande che contiene 150 artisti, realizzato usando la sola memoria del mio macbookpro.
Da un’idea di Mario Gerosa portata nella mia “testa” e realizzata sulla musica prodotta da Esprit Machinsite (Rinascimento Virtuale – Frank Koolhass talking).

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E se Boccioni avesse avuto un’avatar?

In questa mostra fiorentina che abbiamo appena aperto, Rinascimento Virtuale, c’e’ una dimensione fisica che regge le parole di Mario Gerosa, l’autore dell’omonimo saggio e ideatore della mostra.
Declinandola in chiave fisica ed esperienziale non ho potuto prescindere da una dimensione corporea dell’installazione. Come mi è capitato di dire più volte, in diverse occasioni, qui si incontrano almeno tre corpi: il nostro corpo biologico, il corpo etnografico del museo (le testimonianze prese dalle più parti) e infine il terzo corpo: l’avatar. E’ quest’ultimo il corpo di chi sta arrivando in massa all’interno degli spazi reali, un corpo che da tempo chiede una sua collocazione all’interno della cultura più allargata.
Nella tradizione induista l’avatar è l’assunzione di un corpo fisico da parte di Vishnu o di uno dei suoi aspetti (Krishna, ecc). Nel mondo digitale, al contrario, è un corpo fisico che assume un corpo immateriale, pura essenza. Nulla di nuovo. A Firenze, si testimonia il ritorno al significato originario della parola: l’avatar chiede che il suo corpo torni fisico, torni riconoscibile a fianco dei corpi biologici e dei corpi etnografici esposti.
Per questo dico: gli avatar… stanno arrivando.

Grafica di Cristian Contini

Ogni giorno che passo davanti alla stazione di Milano e a quella di Bologna vedo il conto alla rovescia. Non sempre i conti alla rovescia sono perfetti o puntuali (Milano e Bologna hanno due giorni di differenza nel count down). Ma certo sappiamo ormai che il 21 di ottobre aprirà la mostra di Firenze, ideata, pensata, inventata, voluta e curata da Mario Gerosa.
La sua interpretazione (corretta e condivisa) mi ha convinto per un motivo semplice: è uno sguardo allargato, globale (a volo d’uccello) della produzione all’interno della rete. Non si perde in tecnicismi ma gli interessa osservare un mondo fragile in continua evoluzione.
Personalmente, invitato a curarne l’allestimento, ho iniziato questo lavoro non facile di portare nel mondo reale delle cose immateriali, in una forma di racconto. Mantenere questo sguardo allargato globale non è semplice. Non è il problema di mettere bacheche o di trovare le giuste immagini ma di costruire una vera installation art, dove tutto il museo racconta il senso del lavoro, ogni cosa assume un ruolo preciso all’interno della costruzione di senso della mostra. L’allestimento parte dalla negazione di un’enfasi verso un modo di vedere Second Life, un modo che “separa” la vita dentro second life da quella reale. Fin dal principio ho cercato ponti, limiti, regioni delle due modalità per vedere come tenerle unite seppure esse siano separate. La ricerca di questi limiti (da oltrepassare-riconettere) non muove da una visione globale generale ma da una posizione “obliqua” che cerca di studiare più il particolare, l’indizio minimo dal quale ricostruire tutto il senso della mostra.
Il faccia a faccia tra spettatore e Second Life è qui mediato da un dialogo tra civiltà differenti esposte nel museo e l’osservazione del singolo referto etnografico; l’osservazione del suo dettaglio ci mostra tanto delle nostre scelte estetiche operate nei mondi virtuali. Sono rimandi, riflessi di quello che siamo diventati.
Queste riflessioni, questi riverberi, diventano la sola vera guida per entrare nella Second Life per quello che è: uno spazio antropologico da vivere (studiare) a tutti gli effetti.
Quanto detto è il concetto espositivo che si affianca al lavoro curatoriale di Mario gerosa.
Per chi ancora non lo sapesse l’evento si colloca all’interno del Festival della Creatività e sarà fatto con la Fondazione Sistema Toscana
Alcune delle cose che sono state dette le trovate quiqui.
Qui trovate la presentazione del progetto nel quale si citano Moleskine (sostenitrice dell’evento-mostra Rinascimento Virtuale) con una che con l’aiuto di Adriana/Ginevra uno dei dispositivi irritativi che si incrocierà nelle sale.
Anche nel sito ufficiale della fondazione: intoscana.it, e nel sito del corriere della sera alla pagina “Culture”.

 

 

LA BATTAGLIA TRA CULTURA ALTA E CULTURA BASSA E’ FINITA

NOI SIAMO I PRIMITIVI DI UNA CULTURA ANCORA SCONOSCIUTA

 

 

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