Archives for category: letteratura

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Foto-montaggio-souvenir dalla gita su Google Mars (rinnovato in occasione dei 150 anni dell’astronomo Schiapparelli)

Prelude to Space Travel

Within the next 10 or 15 years, the earth can have a new companion in the skies…


Werner Von Braun
Accross the space frontier
Crower-Collier 1953




La conquista dell’inutile


Fitzcarraldo
Al cuoco dei suoi cani! A Verdi! A Rossini! A Caruso!
Don Araujo
A Fitzcarraldo, signore e conquistatore delle cose inutili!


Fitzcarraldo
Werner Herzog
La conquista dell’inutile, Mondadori 2007
anche su:
Fitzcarraldo
1982 Ugo Guanda editore


Prendo a pretesto la nuova edizione di “Google Mars” rilanciata da ieri in occasione dei 150 anni dalla nascita di Giovanni Schiapparelli, lo scienziato italiano che disegnò la mappa di Marte; lo faccio per un pensiero sull’abitare e l’alterità, sulla fantascienza e la tecnologia.
Se la luna ha sempre rappresentato qualcosa come “l’altra faccia di noi”, Marte ha sempre avuto il ruolo di rappresentare un destino, reciproco: o il luogo della nostra umana salvezza futura (in seguito ad un paziente “terraforming”) o, all’opposto, il luogo dal quale i destinati – i marziani – a vivere sulla terra sarebbero arrivati per sconfiggerci .

La nostra esperienza di marte è sempre stata di natura cinematografica (mettendoci dentro pure il Ray Bradbury delle Cronache marziane che ne ha alimentato continuamente l’immaginario) per non dire Hollywoodiana. Il cinema di fantascienza ha una semplice caratteristica: annulla le distanze. L’infinito diventa finito e l’ignoto diventa noto. La fredda immensità dello spazio impersonale, il terrore dell’uomo di fronte all’universo e al vuoto – là fuori – vengono ridotti attraverso la riduzione ad immagine di ciò che è alieno. Il paesaggio dell’infinito viene sovvertito a finito e grazie agli effetti speciali assume un carattere ottimista controllato dalla tecnologia. Google Earth è l’effetto speciale quotidiano che ha annullato le distanze, ha reso note le sequenze di ciò che sta lungo le strade di città a noi aliene, come un dispositivo cinematografico. Lo sgomento e il terrore sono annulati.
Il ritratto che si ha di Marte somiglia ai deserti terrestri costellati da crateri.
Ma il cinema di fantascienza recupera lo stupore nello sguardo delle cose terrestri… “osservando quei paesaggi marini misteriosi, e silenzioni:la sabbia bagnata e scura e la spuma del mare che si frange silenziosamente contro le geometrie bizzarre e indefinibili delle rocce a picco… lo spettatore è costretto a riconoscere, seppure inconsciamente, la pochezza e la precarietà della stabilità dell’uomo, la sua vulnerabilità al vuoto che c’e’ qui come là fuori, l suo isolamento totale, la caducità del suo corpo”* ed il totale interesse degli occhi di madre natura.
In contrapposizione agli altri mondi immaginati creati nei set o ai mondi reali o ai mondi virtuali talmente pieni di tecnologia da sembrare a misura d’uomo sono i deserti e la spiaggia, l’autostrada e la propria casa che ci viene presentata come alterità minacciosa. Quando la terrà che ci ha nutriti ci minaccia siamo davvero perduti nello spazio.

Morale: Google Earth, pure nella “versione” Mars ci rende noti e familiari anche i luoghi più alieni: dal pianeta rosso alle botteghe che si allineano su una strada di Madrid o Pechino; ma può poco contro il nostro perturbamento verso la realtà più prossima. Non ci sono effetti speciali per le nostre paure più profonde.

*Vivian Sobchack Spazio e Tempo nel cinema di fantascienza, Bononia University press, 2002

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Paolo Nori ha pubblicato sul suo sito il testo integrale letto nella serata del 27 Novembre al MAMbo per le Collezioni mai viste.
Lo potete leggere qui:

Prima parte della lettura

Seconda parte della lettura

Terza parte della lettura

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LA BATTAGLIA TRA CULTURA ALTA E CULTURA BASSA E’ FINITA

NOI SIAMO I PRIMITIVI DI UNA CULTURA ANCORA SCONOSCIUTA

 

 

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Testo accessibile:
Viktor Sklovskij, testimone di un’epoca, conversazioni con Serena Vitale. Editori Riuniti. Interventi.
La rivoluzione, Stalin, Majakovskij, Gorkij, Eizenstein, nel raccono di uno dei massimi interpreti della letteratura mondiale
(I edizione, settembre 1979)

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Testo accessibile: (nota mia: intervista del ventinove dicembre millenovecento settantotto)

Serena Vitale: Dedicherei ancora qualche minuto, Viktor Borisovic, ad altre grandi figure della letteratura sovietica. Abbiamo parlato poco, mi accorgo dei prosatori. Lei ama Bulgakov?

Viktor Sklovskij: Bulgakov è uno splendido artista diseguale. Quando, per esempio, leggo Il Maestro e Margherita… Sono come vestiti che vanno in pezzi per la pioggia e l’umidità. Nel suo romanzo Bulgakov descrive l’edificio dove noi scrittori avevamo una specie di ristorante, che dava sulla strada. E’ lì, a pochi metri, dietro una parete viveva Mandel’stam, dirimpetto viveva Platonov. In una stanza viveva Majakovskij. Per un certo periodo ci ha vissuto Pasternak. C’era Sostakovic. Era la vecchia casa Herzen, sul viale Tverskoj – da una parte c’era l’ambasciata danese e dall’altra c’erano dele stanze dove abitavano gli scrittori. Cioè cosa voglio dire: Che quell’epoca non era così brutta e insignificante. Non lo era affatto. C’erano ancora i futuristi, c’era l’Opojaz. Ma va anche detto che Bulgakov è un grande artista. Il Maestro e Margherita è un’opera forte, soprattutto all’inizio: Pilato con il mal di testa, l’apostolo che cerca un coltello per ammazare una persona… Il finale, invece, mi piace meno, quando il Maestro incontra Cristo viene fuori che hanno nulla di cui parlare. Perchè Cristo più informato ha più notizie, è più interessato e coinvolto dai problemi del mondo. Nel romanzo, poi, ci sono le streghe… Quando io ero giovane, tanto tempo fa, ci interessavamo tutti dell’argomento, c’era tanta letteratura. No, non parlo delle favole, erano ricerche scientifiche, volumi e volumi. Bosch, per noi, era perfettamente comprensibile. Dal punto di vista ideologico Il maestro e Margherita è legato ai primi lavori di Goethe e a Heghel. Ma l’altro romanzo di Bulgakov, Il romanzo teatrale, mi colpisce di più.

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“Questa donna su Marte fa impazzire Internet”
Titolo dal portale www.Messaggero.it del 24 gennaio 2008

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Sandro Botticelli (Firenze 1445-1510)
Venere e Marte – 1483 ca. – tempera su tavola – cm. 69 x 173 – Londra, National Gallery

Quanto accade da alcune ore sul web ci parla molto bene del nostro modo di guardare. Forse i marziani sono tutti psicanalisti e ci stanno analizzando con le macchie di Rorschach. Quando si dice il caso. Proprio ieri, il 23 gennaio, scrivo di fotografie e di quanto siano difficili da leggere, conoscerne i contenuti, Poi leggo sul 24′ (freepress del Sole 24 ore), di una foto scattata su Marte dove sembrerebbe riconoscersi la figura di una persona.

Se sia donna o uomo poco importa ma questo già la dice lunga sui nostri pregiudizi: solo perché sembra essere una persona con abito lungo si dice che sia donna: forse le “maison” decidono come ci si veste anche su Plutone e Giove?
Sarà, forse, per i capelli lunghi? Dagli anni 60 in poi non misuriamo più l’appartenenza di genere a centimetri di capello.

Le interpretazioni che si leggono sui vari giornali, pagine web, ecc… mi suggeriscno di ricordare un aspetto della ricerca che rivela un difetto: continuare a cercare ciò che già si conosce è un limite alla conoscenza stessa. Con un poco più di fantasia si potrebbe vedere, in quell’ombra, un sasso di Munari. un elefante a zampe all’aria, o un avatar che balla in second life. Ufologi, scientolo, cattolici, scienziati, idealisti: chiunque può vederci quello che vuole.
Forse ha solo ragione la Cameron con il suo libro The myth of Mars and Venus (il mito racconta di Venere che scende su Marte e del trionfo dell’amore); Deborah Cameron mira a rompere altri tipi di pregiudizi, non visivi ma legati alla lettura dei comportamenti dei sessi e delle identità di genere: il pregiudizio del Marte taciturno, furente e guerriero e la donna-Venere logorrica, sentimentale tra le nuvole.

Un messaggio semplice per una segnalazione: Fausto Torpedine, un blogger intelligente, sensibile e creativo.  

Ho messo come titolo questa parte di testo di Italo Calvino dalle Città Invisibili (pag. 8 nell’edizione Einaudi, testo di riferimento: edizione 1972), perchè leggendo il post di Roberta sull’incontro di Piero avvenuto ieri mattina a Pesaro mi frullava per la testa un pensiero: che il deserto, quello metaforico e geografico forse è proprio quella città, Dubai. Proprio perchè vi può accadere di tutto.

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All’università ricordo che mi insegnavano che l’architettura era tutto tranne il puro deserto (in memoria di John Ruskin). Uno cresce con l’idea che i deserti sono vuoti poi vede un film come Fata morgana o Apocalisse nel deserto di Werner Herzog, oppure sfoglia il catalogo Desert America, per rendersi conto di un paradosso o meglio che è proprio quello il territorio del paradosso:”in un paesaggio dove nulla ufficlalmente esiste (altrimenti non sarebbe deserto) nulla potrebbe essere pensabile e potrebbe accadervi” (fin qui avrebbe detto Reyner Banham)… ed invece vi accade proprio di tutto.

Immagine sopra: una vecchia cartografia da foto aerea zenitale della Repubblica Islamica della Mauritania, Parigi, Istituto Geografico Nazionale. Da Traveses/19 Le desert. Edito a Centre George Pompidou. Revue trimestrelle du Centre de Creation Industrielle, June 1980