Archives for category: elettronica

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Questo palazzo sono io?


Un tempo facevo illustrazioni per una rivista. Costruivo racconti per immagini che cercavano elementi narrativi per descrivere i luoghi. Queste immagini.
Non le faccio più. Era il 2001.


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Come brilla l’aria, tanto da dimenticare tutto


Sistemando le cose nelle mie memorie digitali, ora le riscopro e le rileggo con gli occhi di oggi, tempo nel quale si cerca una nuova sostenibilità e una nuova relazione con gli spazi e l’abitare.
Ricordo che pensavo a come brilla la luce nella città, a come si colora in funzione del tempo atmosferico. Vivere Milano con il grigio delle nuvole è un’esperienza difficile da raccontare, ma è vero che quel grigio scalda.


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Le città sembrano ormai essere come navi che prendono il largo


Lo spazio è un unico spazio, e il pensiero è un solo pensiero, ma ho sempre diviso spazi e pensieri come stanze di condomini. Il mio abitare lo spazio, gli spazi diversi… era come abitare una città fatta di condomini.
Quando pensavo allo spazio, al tempo, pensavo al mio condominio abitato stanza per stanza, da me e le persone che conosco: la mente crea spazi negli spazi che si riempono di cose e di persone.


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Qualcosa ci chiama con urgenza


Dopo tanto tempo penso alle cose che possiedo e che ho accumulato, infinità di libri e cose, immagini e altro. Penso alle stanze che li ospitano. Sono spazi produttivi. Che pensano ormai anche senza la mia presenza (a questo ci pensa l’apparato simbolico che ognuno di noi mette in campo. Tutti i luoghi abitati hanno questa qualità.
Per cambiare una idea devi staccarti dallo spazio che l’ha prodotta. Lo spazio e il pensiero sono uniti in una chiave che è l’abitare (enorme è la letteratura per sostenere questa ipotesi e per questo motivo non cito nessuno).


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Come da un diario intimo


Continuando ad andare

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C’è un aspetto di Rinascimento virtuale difficile da cogliere se si osservano le fotografie su flickr. E’ però nelle parole e negli scritti di Mario: la dimensione sociale dell’arte prodotta in SL. In fondo questa mostra (a fianco dei suoi testi) è il primo fondamentale passo per una storia sociale di Second Life.
A chiusura dell’articolo metto la tenda-comunicativa esposta nella mostra per fornire i primi strumenti di lettura, le chiavi per capirne meglio i contenuti. Un oggetto che fa parte di una serie completa che nessuna fotografia da sola può trasmettere: la tenda con il testo introduttivo di Mario. Tutta la mostra è pensata come una estensione concettuale della rete: la comunicazione non è avvenuta su pannelli museografico, su pannelli didattici, ma è il corpo stesso della mostra. Abbiamo usato la stessa modalità del “mondo” di comunicare attraverso l’ambiente e non attraverso le targhette… ma chi non l’ha ancora vista non può coglierne i valori di novità. E’ una mostra che non può essere giudicata dalle sue fotografie. Come Second Life deve essere vista dall’interno.
Non è una mostra che promuove singoli artisti ma un evento che sta dentro ad una grande narrazione collettiva che è nata in un luogo preciso: Second Life. E’ questa la prima chiave di lettura che differenzia questa iniziativa da qualsiasi altra.
E’ la risposta ad una sfida difficile ed offre un appoggio a tutti i residenti che si sentono parte di una nuova collettività condividendone le basi. Non è la soluzione al problema di lanciare nuovi artisti, individualmente riconosciuti, ma la presentazione di un lavoro che nato in un luogo specifico (di nicchia ricordiamocelo) tenta di farlo diventare universale (rompere la nicchia, dilatarla, allargarla al mondo reale). Trasporre nel reale le cose di second life, come già detto, è paragonabile al Jet-Lag. Tutto cambia. Lo statuto delle cose. Ciò che resta è la dimensione di “mondo”, la dimensione universale della ricerca. L’appartenere ad una idea comune declinata in modo diverso. L’arte dopotutto è sempre stato questo, la costruzione di valori condivisi.

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Un ultimo tassello. Un piccolo documento che racconta qualcosa di Rinascimento Virtuale, uno spot di un qualcosa di molto più grande che contiene 150 artisti, realizzato usando la sola memoria del mio macbookpro.
Da un’idea di Mario Gerosa portata nella mia “testa” e realizzata sulla musica prodotta da Esprit Machinsite (Rinascimento Virtuale – Frank Koolhass talking).

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D.C. (Daniel Charles) – Lei integra ai suoni della musica i suoni della gente che tossisce…
J.C. (John Cage) – Vale a dire ciò che gli altri chiamano “silenzi”. Scambio i suoni e i silenzi
John Cage, Per gli uccelli, Conversazioni con Daniel Charles, multhipla edizione, 1977

Il silenzio non esiste, qualcosa accade sempre. Questo perchè se possiamo chiudere gli occhi e possiamo tapparci il naso, le “orecchie” (l’apparato auricolare) sono “sempre in ascolto”: male che vada ascoltano il ritmo che ci accompagnerà ogni istante a 70 battiti al minuto e i vortici del respiro (per la verità anche il buio non esiste ad occhi chiusi ma le semplificazioni aiutano talvolta a spiegarsi).Ve lo garantisco. Quando ho subito un trauma cranico il mio udito è stato compromesso definitivamente. Da allora ho un acufene: un ronzio che si “aggiunge” (si sovrappone) ad ogni cosa che ascolto come una firma sonora che mi dice sempre che comunque io che ascolto, sono sempre io. Ho così sviluppato una percezione individuale e personale verso il mondo dei sensi e delle sensibilità comprendendo a 13 anni che percepire è un insieme di “soggettivo” che si sovrappone a qualcosa di “oggettivo”. Alfred Tomatis, autorità assoluta in materia, ha speso tutta la sua vita nella ricerca e nella definizione di un modo corretto di ascoltare, per correggere questa componente soggettiva che influisce nel rapporto con l’ambiente e gli altri. Con il mio tempo, ho capito che la componente “oggettiva” era relativa ad una parte simbolica legata all’ascolto.Nel suo volume La musica e l’ineffabile, Vladimir Jankélévitch apre il testo con una semplice frase: “la musica agisce sull’uomo, sul suo sistema nervoso e persino nelle sue funzione vitali. (…) Con un’irruzione possente la musica s’insedia nel nostro intimo e sembra vi elegga domicilio. Sicchè l’uomo che viene a essere abitato e posseduto da questo intruso (…) si trasforma completamente in una corda vibrante (…) e freme follemenete sotto l’archetto dello strumentista. (…) perciò ha qualcosa della magia più che della scienza dimostrativa.” (Nota di chi scrive: i grassetti sono miei).Per questo motivo questo post di oggi si limita a rimandare ad alcuni siti di artisti che lavorano su questo universo di suoni, fatto di rumori, musiche e testi sull’argomento. Una sola notazione: non si può parlare di suoni, spazi, ambienti eculture senza citare alcuni testi:il grandissimo R. Murray Schafer de Il paesaggio sonoro (edizione Ricoordi, 1985), il maestro Michel Chion dell’Audiovisione (Lindau, 1999), l’etnologa Tullia Magrini degli Universi sonori (Einaudi, 2002), l’eclettico David Toop dell’Oceano di suono (Costa & Nolan, 1995)…;L’elenco è rigorosamente in ordine alfabetico e non di importanza. Inoltre non è esaustivo. Nei giorni la lista, sia dei libri che dei siti, si allungherà. Salvo qualche rara eccezione sono tutti link da ascoltare. Ho scelto di “agganciare” siti personali dove leggere e ascoltare il progetto completo di ogni singolo autore; ho omesso gli innumerevoli siti di festival e riviste sul tema del paesaggio sonoro e delle musiche di ricerca più in generale.Elenco aperto, aggiornato al 03 febbraio 2008 ore 11.30:

° Aphex Twin;
° Alexander Balanescu;
° Luigi Berardi;
° Isabella Bordoni;
° Uri Caine;
° Michel Chion;
° Franco Fabbri;
° Bill Fontana;
° Giardini pensili;
° Rupert Huber;
° Lost Cloud Quartet;
° David Monacchi;
° Piero Mottola;
° Alva Noto;
° Pan Sonic;
° Stephen Vitiello;

Una eccezione (per l’importanza del materiale e la completezza del progetto) un “baule” pieno di suoni:° U B U W E B: (in ordine sparso) John Cage, Meredith Monk, Marcel Duchamp, F.T. Marinetti, Momus, Stephen Vitiello, Yoshi Wada, George Maciunas, Vladimir Majakowsky, William Burroughs, Fluxus Anthology, Pandit Pran Nath … eccetera … eccetera …

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Una breve storia di archeologia dell’ascolto del digitale.
Ho sempre pensato che l’opera di datazione (attribuire le date) fosse cosa assolutamente affascinante: mi suona un poco come “metter le mani nel tempo”. La macchina del tempo è studiata dai fisici e dai filosofi delle scienze ma sono gli archeologi che, senza possederne una, hanno questa possibilità di spostare cose lungo la linea temporale anteponendo o posponendo, cambiando pesantemente i significati alle cose. Nell’ambito dell’ascolto musicale, specie nell’elettronica, dagli esperimenti di Karlheinz Stockhausen alla Techno, questa datazione si lega alle continue scoperte di nuovi suoni prodotti dalle macchine. La cosa non è riconoscere i vari strumenti, ma sentire nei paesaggi dei suoni quelli particolari che identificano quel periodo: esempio il vocoder per rendere robotica la voce o gli effetti sonori dei kraftwerk ad esempio di Ohm sweet Ohm.
Qui sotto un esempio di questi suoni del 1973 dall’album Ralf & Florian che malcela venature kitsch:

Non è più il problema di riconoscere uno strumento ma un tipo di suono e l’algoritmo che lo ha permesso: la sua natura matematica applicata al circuito stampato.
Roberta mi permetterà di parlare un attimo di una mia memoria: il mio primo home computer e la scoperta dei nuovi suoni. L’ho comperato 25 anni fa e lo pagai (a metà con mio fratello) circa 400 mila lire. Un capitale direi per il tempo. Non mi interessa darne le note tecniche che si possono trovare anche su wikipedia. A quel tempo si ascoltava la musica elettronica dei Kraftwerk, dei Tangerine Dream e Klaus Schulze come unica alternativa ai suoni dei PIL e dei Throbbing Gristle. Tutto il resto era categorizzato come commerciale. Troppo facile all’ascolto. Tutto questo non per moda (o semplice snobismo) ma come avventura verso orizzonti di suono inauditi. Chi aveva il Vic e chi aveva lo ZX giocava a produrre suoni su queste tastiere. Il Casio Tone VL1 era l’oggetto iniziatico verso il mondo della produzione musicale indipendente. Il Korg era cosa da signur. Lo ZX Spectrum aveva un pessimo generatore di suoni ma lavorando con formule matematiche (a qualcosa doveva pur servire studiarne tanta) uscivano sequenze ritmiche, sintetiche, di buon risultato. Associate alla batteria elettronica autoprodotta e ai suoni della tastiera del Casio Tone di Paolo, un amico del tempo, ci si poteva definire anche “musicisti sperimentali”.
Non c’erano gli effetti della kling klang (la casa di produzione delle “macchine” di proprietà dei Kraftwerk), ma le nostre orecchie imparavano ad ascoltare.
Oggi lavoro con un altro Paolo, in termini di musiche, di suoni e di comunicazioni. Ma il desiderio di sperimentare è sempre lo stesso: mettere insieme suoni, possibilmente nuovi nelle loro relazioni, evocativi. Nel mio tumbler qualcosa di questo lavoro di Ferrario e me c’e’ in relazione alla comunicazione dell’arte e della città che stiamo sperimentando.
Come detto anche attraverso l’udito e i suoni (comunicazione non verbale) c’è tanto da imparare.
Come sempre: AphexTwin, Nannou