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Conserving kublai, Neo Kublai – Installazione




Un mio pensiero: Second life non è in decadenza ma sta penetrando lentamente in una nuova dimensione più contemporanea alla ricerca della rappresentazione del “mondo”, dei mondi. SL e noi come avatar abbiamo raggiunto una “maturità” tale da farci percepire una distanza tra l’esperienza e un ricordo dello spazio. Si avverte fugacemente una distanza fra un senso passato e un senso attuale che alcuni potrebbero vivere come una percezione “incompleta”. Questo scarto è misurato nel tempo delle cose che suscitano in noi un sentimento dello stesso tempo. Lo stesso sentimento che si prova di fronte alle antiche vestigia, a luoghi che si sono vissuti nel passato alle cose che abbiamo appartenuto*.
Questa attitudine verso le cose e verso il tempo si rende evidente quando ci poniamo sulla soglia del rinnovamento, ad esempio.
Il re-design di una land è il momento per rinnovare e riaggiornare i “contenuti” ma è anche occasione per creare una installazione che indaga alcuni aspetti della natura del metaverso. Parlo del rinnovamento dell’isola-porto dei creativi: Kublai.
Le installazioni sono la tipologia artistica più rappresentativa della contemporaneità.
Le installazioni rappresentano con la loro temporaneità meglio di ogni altro medium l’essere e il tempo del momento. Ma non è solo un medium: è luogo di esperienze.
Neo-Kublai è un trapasso dalla rappresentazione autoreferenziale della creatività, della pittura e della scultura a una rappresentazione referenziale in situ: la creatività si localizza e diventa un intervento nel e con il mondo. Ciò che conta è la posizione e l’ubicazione e cioè l’esserci nel tempo giusto.
Una installazione sul “tempo delle cose digitali”, sul tema della conservazione del patrimonio digitale (qui si ricorda l’appello di Mario Gerosa sulla conservazione dei beni digitali all’Unesco e il testimone raccolto dal Museo del Metaverso e da Uqbar).

*Approfondimenti sul tema del “sentimento del tempo”: Marc Augé; Rovine e macerie; 2004, Bollati Boringhieri, Torino

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ANCESTORS


L’uomo di Cro-magnon* del museo di Les Eyzes mi guarda al passo del Gran San Bernardo.


Credo che ognuno di noi si porti dietro delle matasse che crescono con l’accumulo dell’esperienza. Queste matasse sono fatte di fili che si costruiscono di giorno in giorno. A volte si intrecciano e altre volte si ingarbugliano. Queste matasse le portiamo in una tasca non meglio precisata ma crescono continuamente. A volte ho la sensazione di riconoscere le persone che le portano con sè da come si muovono. Sono come fili che ci legano al tempo e allo spazio, ci tengono “presenti” al nostro tempo e nello stesso tempo ci fanno sentire presenti in tutti i tempi.
Ad ogni viaggio, per ogni spostamento che si compie in altri luoghi i fili che compongono queste matasse crescono, sempre più. Quella che sto costruendo con queste parole è la presenza fisica di una mia memoria che cresce come cresce una pianta: per cresecere non è sufficiente mettere acqua. Si devono creare le situazioni affinchè si creino le condizioni migliori perchè vi sia una crescita. Non ho mai concepito l’idea della vacanza come interruzione: eventualemente è un appuntamento atteso con noi stessi, il momento nel quale è possibile riconoscersi nelle proprie intenzioni, nelle proprie ricerche.
Quasi per caso a Roma, ad Ars in Ara aprii la relazione con le pitture della grotta di Lascaux. In quelle grotte poi ci sono stato proprio in quest’ultimo viaggio (in realtà si visita la Second Lascaux perchè la prima è troppo delicata). Partii da lì per dire che l’ambiente immersivo di Second Life è un ambiente scritto, disegnato e lo abitiamo oggi come sempre l’uomo ha abitato i propri spazi: rivestendoli della proprio modo di vedere il mondo, del proprio modo di rappresentare il mondo intorno a sé.
Ma questa è solo una premessa.

* “L’adolescent du Lac Turkan” -Il modello è esposto al Musée National de Prehistoire di Les Eyzies de Tayac – Dordogne

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Un piccolo segnalino per dire…

punto a capo, restart

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Answer: from one plane to another, one field to another, creating a surrealistic costruct of the universe, and all the caotic choices that you make in it.
Nigel Coates, Guide to Ecstacity.

Risposta: … da un mondo ad un altro, dalla ricerca di una nuova esperienza per il proprio corpo ad un’altra.
Nei nuovi modi di “vagare” nei nuovi spazi c’è una nuova dimensione tattile che non sempre viene colta.

Quel che è cambiato in questi anni è il sistema di riferimento della nostra possibilità di viaggiare.
Sicuramente sul nostro pianeta ma non solo. Ai viaggi reali, fisici, ai viaggi immaginari dentro la letteratura (dalla mitologia al Manuale dei luoghi fantastici di Guadaluppi Manguel) si sono aggiunti i viaggi nei mondi virtuali. Anche i viaggi nella dimensione dell’immaginario hanno assunto una tattilità che sottolineano come il corpo, reale e proiettato, sia il centro intorno al quale lavorare o quanto meno il necessario punto di partenza. Ne testimonia l’immensa letteratura degli anni ottanta-novanta sul tema del corpo-cyborg, che è tutta da rileggere: mostra la sua potenza proiettiva confermata per molte parti. Ciò che mancava al tempo era la possibilità realizzare “universi sintetici” di massa. Lo sbarco in massa sui mondi di questi ultimi anni è un atto finale/iniziale che ha richiesto/richiede una crescita per le nostre stesse facoltà (qui non si può non citare l’Umanità accresciuta di Giuseppe Granieri).
Abitare i mondi e abitare il proprio corpo/avatar sono un tutt’uno: richiede che si debba riconsiderare il significato scontato di alcune parole e di alcune abitudini. I mondi imnaginati, pensati, progettati e costruiti nella rete, gli universi sintetici, i mondi virtuali, hanno una natura tattile molto forte. Ma si tratta di una tattilità differente che non ha più il senso organico del toccare: “implica semplicemente la contiguità epidermica dell’occhio e dell’immagine, la fine della distanza estetica dello sguardo” (Baudrillard, Cette fois). Lo schermo del computer attraverso il quale entriamo nella virtualità dello spazio è la retina dell’occhio della mente e dunque una parte della struttura fisica del nostro cervello umano.
E in questo sta un’altra interpretazione di una nuova tattilità corporea con il mondo delle cose che ci circondano: da tempo abbiamo esteriorizzato parti del corpo umano all’interno dei “media” che utilizziamo. Ognuno di questi media ha gradi differenti di realtà, ha rapporti differenti con la realtà. Saltiamo continuamente tra dimensioni differenti di realtà e di virtualità.
Quella che si vive è una realtà equivalente costruita con stratificazioni in cui convivono e si compenetrano tra loro elementi del reale, dei desideri, dei sogni dell’imaginario e delle simulazioni. Viviamo immersi in tutto questo.
Ma è il nostro corpo che resta al centro e le sue estensioni/emanazioni/figurazioni.
Alla fine faccio esperienza nei mondi virtuali e il mondo virtuale esiste attraverso la mia esperienza incorporata.
Il mondo virtuale e il mio corpo si definiscono tra loro.
Io abito il mondo virtuali e il mondo virtuale abita con me.
Per questo la mia prima esperienza per me è stata di natura nomadica: ho viaggiato per lungo tampo perché dovevo costruire questa relazione tra mondo e l’avatar, per non vivere l’estensione come amputazione, come suggerirebbe McLuhan, ma come esperienza e quindi arricchimento.
Alla fine, se si semplifica tutto questo come un semplice “gioco”, questo stare nei mondi ha un significato preciso: “giocare” per vivere/conoscere/ragionare/pensare…

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Invito della festa di reload e di inaugurazione del Cinema Continuo

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Claude Monet. L’ombra di Monet nello stagno delle ninfee, ca. 1905 Fotografia Collezione Philippe Piguet


Parliamo di ombre.
Monet, nel 1905 si fotografa nel suo stagno delle nifee in forma di ombra. Lo fa in una forma autoriflessiva: è un vero autoritratto. Secondo Stoichita* se si fotografa come riflesso della superficie dell’acqua apparendovi come ombra lo fa per suggerire non tanto un atto d’amore verso se stesso ma verso il proprio mondo simbolico. Ciò che la sua ombra espone è l’ombra del suo sguardo che si istituisce come pittura, quello sguardo che si struttura come visione, come pittura.


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Autoritratto di avatar. L’ombra di AL nello stagno delle ninfee di LucaniaLab. Collezione privata.


Ogni immagine ha la sua storia e ogni immagine è testimone di una storia più grande che muove all’interno di una storia della rappresentazione estetica e una storia della filosofia della rappresentazione. Come dire che ogni immagine
è forma di un pensiero -l’artista- che l’ha prodotta all’interno di un pensiero -una cultura- più grande che lo contiene.
Un giro di parole per introdurre una cosa che non ha solo una valenza tecnica, un nuovo traguardo raggiunto, ma anche un significato simbolico molto forte all’interno di un pensiero che produce immagini -mondi- nell’ambiente di Second life.

L’arte ha da tempo rifatto i suoi conti con la propria storia riallacciando ponti demoliti dall’avanguardia.
Non si può non leggere l’introduzione delle ombre in SL non solo come un avvicinamento di effetto di realtà ma un avvicinamento ai temi della rappresentazione.
La storia dell’arte occidentale è una storia di chiaroscuri. Plinio (Naturalis Historia XXXV,15) per primo ne inaugura l’interpretazione nel tentativo di dare un’origine alla pittura: l’atto di circoscrivere con una linea l’ombra di un essere umano. A fianco di questo atto primigenio sull’origine della pittura ne esiste un altro che parla delle origine della conoscenza: il mito platonico della caverna. Entrambi muovono a partire da ombre.

Ma quello che mi interessa notare sulle ombre in SL è che propone un’autoriflessività dell’avatar nell’immagine: propone un suo autoritratto in forma di ombra.
Credo che simbolicamente sia un fatto veramente potente. E’ un segno doppio della nostra presenza in SL non più nella sola forma di presenza-avatar ma anche di evanescenza-ombra. Un doppio segno di appartenenza al mondo quindi.
Se l’avatar cela una dimensione narcisistica di noi che “ci affacciamo” nei mondi virtuali la presenza dell’ombra suggerisce una appartenenza al mondo creato non più nella sola dimensione di creatori ma come superficie stessa delle cose create, inglobando questa evanescenza nello stesso quadro dell’immagine. Assieme alle altre cose l’avatar vi si riflette, vi si riassume e vi si dissolve. In altre parole entra e si dissolve nel mondo che ha immaginato e creato: non è più una sola immersività ma una vera inclusione all’interno del mondo.

*Victor I. Stoichita, Breve storia dell’ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art. Il saggiatore, Milano 2000

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Kit The World: FUN to REZ


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FUN to REZ: Kit Lucanialab


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FUN to REZ: Kit Asian’s Tower


Ars in Ara si è chiuso.
Invitato a parlare delle cose alle quali sto lavorando di più e da tempo e che esprimono certamente l’idea della soglia, della transizione e i concetti tra un dentro e un fuori i mondi, ho espresso una mia idea di ambiente dai contenuti fortemente orientati verso una narratività degli spazi; un ambiente che si esprime con il fatto stesso di essere spazi abitati da persone che diventano loro stesse sfondo e protagonisti; usano lo spazio, lo abitano e lo fanno parlare, lo scrivono. In questo senso la parola “connettivo” si allarga a definire un paesaggio che non si limita al presente e alle tecnologie digitali ma in genere al sistema culturale.

Ma… chi non entra nei mondi virtuali? Per loro? Come spiegare cosa sono i mondi virtuali?
Per loro ho pensato ad un prodotto: un kit messo in una busta che permette di fare la prima esperienza che si ha rezzando (costruendo) nell’ambiente di second life; la busta contiene una land (un’isola sulla quale costruire), una shape (la forma di un oggetto) e con la texture applicata all’oggetto. Una prima conoscenza della grammatica dello spazio di Second Life.

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Romanzo Collettivo La Torre di Asian
Il secondo progetto che presenterò a Ars in Ara, sarà il Romanzo Collettivo.
Il progetto ha alcune caratteristiche che lo contraddistinguono:
– la dimensione Narrattiva è utilizzata per costruire un “mondo” che ha le sue regole scritte direttamente all’interno dell’ambiente nel quale si svolge la sua narrazione;
– lo spazio del racconto e il testo coincidono nello spazio di vita degli scrittori-personaggi del romanzo;
– la realtà e la finzione si coniuga nel racconto;
– natura narrativa dello spazio – spazio concepito come un testo e viceversa;
– non è una sceneggiatura chiusa scritta altrove: è l’esperienza dello spazio condiviso che si struttura in testo.

Di seguito Riporto il testo di Mario Gerosa – scritto per EXIBART del corrente mese di Giugno – nel quale mette molto chiaramente il senso del progetto.

A MONDO MIO
Prima di accantonare i mondi virtuali come un giocattolo che non ha più il sapore della novità, pronto ad essere rimpiazzato da un altro passatempo, sarebbe utile continuare ad esplorare la dimensione concettuale degli universi sintetici, che riserva ancora sorprese interessanti.
In questa direzione si sono mossi un gruppo di studiosi e di ricercatori, che in Second Life ha dato l’avvio al progetto della Torre di Asian, dove Asian è un avatar che fa di cognome Lednev e corrisponde, nella vita vera, all’architetto Fabio Fornasari. A lui, progettista e artista, si affianca Lorenza Colicigno (Azzurra Collas), scrittrice di mestiere e poetessa, che cura e raccoglie le varie parti del racconto.
Questo progetto è originale e intrigante perché indaga sulle potenzialità della scrittura all’interno degli universi sintetici. Finalmente, sin dall’inizio, si stabilisce che le regole del gioco da seguire in quell’altra realtà non sono le stesse della vita quotidiana al di qua dello schermo. Si è già detto e ampiamente ripetuto che le case e gli arredi di SL non devono essere per forza come quelle cui siamo abituati, e tutti sappiamo che la moda del mondo dei Linden non segue le stesse tendenze delle passerelle del mondo vero. E allora perché i processi della narrazione dovrebbero rimanere ineluttabilmente invariati?
Se lo sono chiesti gli studiosi del gruppo che ruota attorno al progetto della Torre di Asian, che hanno ipotizzato un nuovo modo di utilizzare la scrittura e di fruire della narrazione in un mondo virtuale.
I punti cardine del progetto sono due: creare un romanzo scritto a più mani (non necessariamente da addetti ai lavori), con il continuo alternarsi di narratori, e l’idea di trascrivere in tempo reale il racconto in progress sulla superficie di una torre che cresce al crescere dei dialoghi.
Innanzitutto la scrittura assume una presenza tridimensionale, con la storia scritta sulla skin della torre, che pare in questo senso una versione della Colonna Antonina 2.0, con i dialoghi che si innestano nello spazio, a diverse altezze, in diverse posizioni, suggerendo una possibile ma non necessaria scala di valori legata alle frasi. Poi c’è il discorso, fondamentale, dell’interazione fisica: le parole e le frasi della Torre di Asian scardinano il tempo canonico della lettura di una pagina e lo spazio necessario per leggere una pagina dalla prima all’ultima riga: qui le frasi si scorrono volando, piroettando intorno al monumento di parole, o magari volteggiando in caduta libera, gettandosi dalla cima. In tal modo si leggono gli spazi stessi, dato che è difficile dire quale sia il supporto e quale sia il contenuto.
La Torre di Asian infatti è un’architettura tutta da leggere, che gioca anche su un altro tipo di coinvolgimento: il racconto che si sviluppa attorno a quel manufatto effimero non può prescindere dalla presenza di quel totem. La scrittura del racconto deve molto alla vita vissuta attorno alla torre stessa. Le frasi del racconto sono in parte generate dalle suggestioni e dagli stimoli provocati attorno alla torre dai tanti personaggi che si sono avvicendati a quel romanzo, pensato un po’ come il gioco del “cadavre exquis” dei surrealisti, dove uno iniziava a scrivere o a disegnare e un altro proseguiva, senza mai mettere la parola fine. Senza mai tradire la metafora di progetto completamente open source di una narrazione protesa all’infinito. Un concetto che si coglie nella struttura del racconto a più mani e si riflette nell’altezza smisurata di questa architettura vertiginosa che certi giorni, quando in Second Life calano le tenebre, fa l’effetto di un pozzo senza fine al contrario.

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SI riparte, si è ripartiti.
Dal mio punto di vista la definizione “mettere in narrazione il territorio di Second Life” (titolo di Giovanni Boccia Artieri per Basilicata Travel) ha un significato a più dimensioni. Il testo siamo abituati a vederlo sempre più come una didascalia di un pensiero: bidimensionale. Il testo invece ha più dimensioni: ci si sprofonda dentro, si eleva. In sostanza non solo evoca ma costruisce spazi. Questo è quanto stiamo facendo direttamente con il Romanzo Collettivo la Torre di Asian ad esempio. Ma questo è alla base di tutto il mio lavoro in Second Life. Credo che in qualche modo, Second Life, cio che ha permesso è la definizione di una nuova calligrafia che ha delle caratteristiche molto particolari: ha una qualità tridimensionale e immersiva; si costruisce come testo, come relazioni tra elementi simbolici che individuano spazi tenuti insieme dal tempo; è inoltre capace di contenere e rendere partecipi della definizione dell’ambiente dall’interno chi vi abita e chi vi produce il proprio pensiero.
Il pensiero centrale è che non esiste uno spazio che non sia collettivo: è una condizione di sopravvivenza, è la coscienza specifica dello spazio.
Questo genere di mondi non sono un analogo di un paesaggio interiore e non sono mai riducibili a una dialettica io-mondo, soggettivo-oggettivo; comportano uno spostamento sul piano del linguaggio, della cultura intesa come sommatoria di comunità parlanti.
Il progetto del museo di Lucania Lab, il secondo livello museale, è in questi pensieri che trova la sua origine.

Second Life è per il momento l’unico strumento che mi permette di ragionare in questi termini e di sperimentare lo spazio come scrittura tridimensionale. E non solo come pura teoria ma come virtualità realizzata. Per questo lo sento ancora fresco. La relazione con gli altri Social Network rafforza questo pensiero di spazializzazione del testo.
Ma ne parlerò poi.
A Roma il 6 giugno, al convegno Ars in Ara, parlerò di queste cose e di altre (convegno ARS in ARA Second Life a cura di Marina Bellini e Paolo Valente).

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Questo palazzo sono io?


Un tempo facevo illustrazioni per una rivista. Costruivo racconti per immagini che cercavano elementi narrativi per descrivere i luoghi. Queste immagini.
Non le faccio più. Era il 2001.


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Come brilla l’aria, tanto da dimenticare tutto


Sistemando le cose nelle mie memorie digitali, ora le riscopro e le rileggo con gli occhi di oggi, tempo nel quale si cerca una nuova sostenibilità e una nuova relazione con gli spazi e l’abitare.
Ricordo che pensavo a come brilla la luce nella città, a come si colora in funzione del tempo atmosferico. Vivere Milano con il grigio delle nuvole è un’esperienza difficile da raccontare, ma è vero che quel grigio scalda.


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Le città sembrano ormai essere come navi che prendono il largo


Lo spazio è un unico spazio, e il pensiero è un solo pensiero, ma ho sempre diviso spazi e pensieri come stanze di condomini. Il mio abitare lo spazio, gli spazi diversi… era come abitare una città fatta di condomini.
Quando pensavo allo spazio, al tempo, pensavo al mio condominio abitato stanza per stanza, da me e le persone che conosco: la mente crea spazi negli spazi che si riempono di cose e di persone.


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Qualcosa ci chiama con urgenza


Dopo tanto tempo penso alle cose che possiedo e che ho accumulato, infinità di libri e cose, immagini e altro. Penso alle stanze che li ospitano. Sono spazi produttivi. Che pensano ormai anche senza la mia presenza (a questo ci pensa l’apparato simbolico che ognuno di noi mette in campo. Tutti i luoghi abitati hanno questa qualità.
Per cambiare una idea devi staccarti dallo spazio che l’ha prodotta. Lo spazio e il pensiero sono uniti in una chiave che è l’abitare (enorme è la letteratura per sostenere questa ipotesi e per questo motivo non cito nessuno).


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Come da un diario intimo


Continuando ad andare